Negli ultimi anni vi è stata una stratificazione normativa per disciplinare la durata del periodo di prova nei contratti a tempo determinato.
La direttiva UE 2019/1152, al fine di garantire la trasparenza e la prevedibilità delle condizioni di lavoro, ha previsto l’obbligo per gli Stati membri di introdurre misure, a carico dei datori di lavoro, per rendere edotti i propri dipendenti riguardo le condizioni applicabili al proprio rapporto di lavoro, tra queste anche la disciplina del periodo di prova con l’introduzione di un principio di ragionevole durata commisurata alla natura e alla durata del rapporto.
In attuazione della direttiva, è intervenuto il D.Lgs. 27 giugno 2022 n. 104 (cd. Decreto Trasparenza) con l’art. 7, comma 2, il quale, nel fissare la durata massima del periodo di prova in sei mesi salvo una durata inferiore prevista dai contratti collettivi ( comma 1 ), riporta né più né meno quanto previsto dalla direttiva (“Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. “ ) senza fornire indicazioni sui possibili criteri da applicare per effettuare il riproporzionamento sulla base di tre fattori : durata del rapporto ; mansioni e natura dell’impiego.
Il principio della proporzionalità della durata del periodo di prova , seppur astrattamente condivisibile, non ha un’univoca applicazione pratica, in quanto soggetto a un margine di interpretazione con conseguenti, e inevitabili, difformità applicative.
Per far fronte a tale incertezza, recentemente è intervenuto il Collegato Lavoro ( art. 13 della Legge 203/2024 ), stabilendo quanto segue :
All’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, dopo il primo periodo sono inseriti i seguenti: «Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi».
Nonostante le intenzioni del Legislatore, però, anche quest’ultima previsione presenta delle criticità, sia in riferimento al rinvio alle “disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva”, sia in riferimento ai periodi minimi e massimi del periodo di prova previsti dal Legislatore. Il Ministero del Lavoro ha quindi tentato di superare tali criticità con la pubblicazione della circolare n. 6 del 27.03.2025 ma le soluzioni interpretative prospettate non convincono in tutto per tutto e alcune rischiano di generare contenzioso.
Limiti minimi e massimi per contratto a termine – Il legislatore ha voluto quantificare il periodo di prova fissandone la durata, ferma restando la possibilità della contrattazione collettiva di introdurre disposizioni più favorevoli ( il legislatore non individua il livello di contrattazione il riferimento è quindi al CCNL applicato al rapporto ). A ciò si aggiunge l’introduzione di un limite minimo per la prova pari a 2 giorni di effettiva prestazione e dei limiti massimi pari a 15 giorni per i rapporti a termine di durata non superiore a 6 mesi e 30 giorni per quelli compresi fra i 6 e i 12 mesi. In merito il Ministero precisa che i limiti massimi, a differenza di quelli minimi, non possono essere derogati neppure dalla contrattazione collettiva, atteso il principio generale che preclude alla contrattazione di introdurre disposizioni peggiorative delle condizioni di lavoro rispetto la disciplina legale.
L’interpretazione ministeriale non convince tanto più se si considera che nei passaggi successivi la circolare fornisce anche criteri per valutare quali siano le “ disposizioni più favorevoli “. Il Ministero del Lavoro richiama il principio generale del “ favor prestatoris “ secondo cui sarebbe da privilegiare l’interpretazione che accorda una maggiore tutela al lavoratore, sicchè sarebbe più favorevole una durata ridotta del periodo di prova indistintamente per qualsiasi ruolo, livello e mansione. Ma è la stessa norma del DL Trasparenza a richiamare “ la mansione da svolgere in relazione alla natura dell’impiego” in considerazione che la maggiore durata ( rispetto ai 15 o 30 giorni ) può corrispondere anche all’ interesse del lavoratore di godere di un intervallo maggiore per dimostrare le proprie capacità, soprattutto quando il lavoro richiede elevate professionalità con competenze specialistiche.
Durata della prova per contratti da 12 a 24 mesi – Tra i chiarimenti forniti dal Ministero, assumono particolare rilievo le indicazioni fornite per definire la durata della prova ne contratti a termine di durata compresa tra i 12 e 24 mesi. La norma del Collegato Lavoro non ha fornito un limite massimo per tali contratti, lo fa il Ministero precisando che, per tali contratti il periodo di prova deve essere calcolato moltiplicando 1 giorno di effettiva prestazione ogni 15 giorni di calendario, anche oltre la durata massima di 30 giorni stabilita per i contratti a termine di durata inferiore ai 12 mesi.
Pertanto, se un contratto a termine ha una durata di 18 mesi, ossia 540 giorni di calendario, il periodo di prova sarà calcolato come segue :
540 giorni / 15 = 36 giorni di prova effettiva
Va ribadito comunque che, nonostante i limiti numerici con riferimento alla durata del periodo di prova dei contratti a tempo determinato, la normativa fa salve le previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva. Ciò comporta che nel caso di stipula di un contratto di lavoro, per la corretta individuazione del periodo di prova, sia sempre necessario confrontare le disposizioni del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.
Fonte: Lavorosi.it