La situazione del governo si stabilizza? Va bene. Andiamo a votare tra pochi mesi? Va bene lo stesso
Cosa significa per il comparto della sicurezza privata una crisi di governo in questo momento? Probabilmente è la domanda che in queste ore si pone la maggior parte di coloro che hanno una responsabilità direttiva o di gestione all’interno di associazioni, enti, semplici imprese, quando la rassegna stampa della mattina racconta delle incomprensioni all’interno alla maggioranza e delle difficoltà a trovare una sintesi per evitare le elezioni anticipate.
Non spetta a me svolgere considerazioni di carattere prettamente politico, o, meglio, partitico, non posso tuttavia esimermi dal ragionare su quanto una instabilità istituzionale impatterebbe su un settore che risente notoriamente con qualche mese di ritardo delle crisi economiche che determinano la chiusura di aziende, centri commerciali o negozi di vicinato.
Il presupposto stesso della vigilanza privata è infatti garantire la sicurezza a chiunque ne abbia bisogno, siano queste istituzioni pubbliche, che attraverso bandi di gara si rivolgono a privati non avendo la possibilità di affidare il servizio alle Forze dell’Ordine (principio di sussidiarietà); o aziende grandi e piccole che ritengono necessario tutelare i propri beni; o ancora singoli cittadini preoccupati dal persistere della micro-criminalità sui territori.
I trasferimenti a fondo perduto che in questi mesi il governo ha garantito a chiunque dimostrasse di averne bisogno, parallelamente al divieto di licenziamento (salvo specifici casi) che continua a essere procrastinato, hanno certamente avuto il merito di sopire sul nascere quelle che altrimenti sarebbero state manifestazioni di disagio forse anche di natura violenta, ma la domanda da porsi è la seguente: fino a quando? Fino a quando sarà possibile scaricare su future riforme e soprattutto sulle future generazioni il dramma di una pandemia come quella da Covid-19?
La bacchetta magica non la possiede nessuno e d’altronde si è trattato di provvedimenti ineludibili, ma a questo punto la politica dovrebbe mettere da parte i rancori personali, o i sotterfugi per rimanere in sella, con il solito corollario del “mercato delle vacche”; coloro che sono investiti attualmente delle maggiori responsabilità, di governo o di partito, dovrebbero indicare una strada chiara da percorrere e a quel punto una sana dialettica tra la maggioranza e le opposizioni dovrebbe portare a un governo stabile oppure ad elezioni in tempi rapidi.
È facile affermare che sarebbe meglio non portare il paese al voto in piena pandemia e con una campagna vaccinale lanciata da poco, ma è altrettanto difficile immaginare come un governo che ha dimostrato di godere di una maggioranza estremamente esigua in almeno uno dei due rami del parlamento potrebbe gestire in modo efficace i fondi del Recovery Plan che l’Italia attende con impazienza dall’Europa.
D’altronde, un paese europeo come l’Olanda andrà a elezioni politiche il prossimo marzo, tanto è vero che nel testo finale del regolamento per la presentazione alla Commissione europea dei singoli piani nazionale la scadenza del 30 aprile, precedentemente tranchant, viene ora indicata come as rule, di regola. Ciò significa che la stessa Commissione immagina ci possano essere slittamenti connessi a circostanze esogene. Non che questo sia augurabile, ovvio.
Ciò che intendo è che qualunque cosa accadrà nei prossimi giorni, è necessario fare presto. L’Europa non pare più essere la semplice somma di Stati che nel 2010-2011 indicava l’austerity come la soluzione a tutti i mali, oggi è altro, oggi ha messo a disposizione centinaia di miliardi di euro per rilanciare l’economia dei 27, a patto che siano il presupposto di investimenti e riforme strutturali non più rinviabili. L’Italia deve essere all’altezza di questo compito.
Per concludere quindi: la situazione del governo si stabilizza? Va bene. Andiamo a votare tra pochi mesi? Va bene lo stesso.
L’importante è fare presto. Non riempire i quotidiani con interviste dei più disparati cacicchi che “gestiscono” uno o due voti in Senato, ma prima immaginare e poi programmare gli interventi per l’Italia di domani.
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