L’inferno della vigilanza privata

di Carmelo Burgio pubblicato su l’ecodelsud.it

Nata come la vigilanza povera, quella che in bicicletta, in uniformi sformate, passava la notte a infilare bigliettini nei portoni a comprovare il passaggio di controllo, è oggi assurta a partner obbligato – magari un po’ tollerato e guardato con sufficienza – nel mondo della sicurezza.

Trasporto e custodia dei valori le sono stati appaltati, non essendo remunerativo per istituti di credito, uffici postali e grandi soggetti commerciali farsene carico. All’estero a loro si affida la protezione dei vettori navali in zone afflitte da pirateria, e in Italia, se vuoi davvero una vigilanza continua ad un obbiettivo privato, anche solo in termini di dissuasione, è alla vigilanza privata che si fa ricorso. Eppure sono rimasti i parenti poveri.

Fors’anche per il periodico scoppio di vicende giudiziarie non certo edificanti, come quella che ha colpito qualche giorno fa una nota sigla nata in Calabria, che sarebbe rea di caporalato e comportamenti a mezzo fra il vessatorio e il ricatto.
Non tutte le ditte sono così, e anche questa volta c’è comunque da attendere il verdetto finale di un giudice.

Chi pratica il settore sa che ci son ditte che investono, che spendono per addestrare il personale, per vestirlo adeguatamente, per dotarlo di mezzi e infrastrutture che limitino il rischio cui sono esposti gli operatori. Sovente tali investimenti superano anche il livello delle prescrizioni emanate dall’Autorità di Pubblica Sicurezza. Talvolta, e accade, vi son perfino istituti che riconoscono salari leggermente superiori a quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva, facendo anche ricorso a benefits, perché non è facile assumere personale.

Provate solo, per strada, a guardare le uniformi: ne vedrete di qualità, ma talvolta capita di trovarsi davanti al tragico frutto di collage di più marchi, perché la GPG (Guardia Particolare Giurata) deve utilizzare magari il cinturone o il berrettino di lana della ditta per la quale lavorava precedentemente, perché la nuova, semplicemente, vuol risparmiare. Inconvenienti che sorgono nel succedersi di imprese in un appalto, legato a richieste di millesimali riduzioni da parte della clientela, in sede di gare.

Ma pochi vanno a guardare a monte. Se i vigilantes sono “brutti, sporchi e cattivi”, in una riedizione del noto film con Nino Manfredi, e le ditte che danno loro lavoro appartengono ad analoga categoria, i clienti son tutti degni della massima stima e considerazione. E nessuno va a verificare che a volte faccian “cartello” per ribassare i prezzi, e pongano basi d’asta tali che alla guardia, al netto di utili d’azienda, tasse e contributi, possa andare ben poco.

Ma questi clienti, con colletto bianco e cravatta di marca o tailleur firmato, la sfangano alla grande e sono esenti da critiche. Sono tutti i grandi stakeholders che fanno bella e comoda la nostra vita: Poste Italiane, Amazon, RAI, MEDIASET, EATALY, Autostrade, Trenitalia, Aeroporti di Roma o Milano, etc., senza dimenticare ministeri, Aziende Sanitarie Locali e perfino palazzi di giustizia. Tutti ben saldi nel pagare pochissimo per i servizi “ancillari”, dalle pulizie alla vigilanza e sicurezza.

Nessuno dice che per primi son loro che pretendono tariffe minime e magari ribassi al limite del sottrarre il pane di bocca, per incrementare gli utili per l’azionista. Poi magari si scoprono etici nel ridurre l’emissione di CO2, nel piantumare aiuole, nell’installare pannelli solari, fregandosene che facciano la fame l’uomo o la donna addetti a incombenze comunque vitali per l’azienda. Potranno a volte essere anche gente poco qualificata, non certo in possesso di titoli accademici, e spesso non per loro colpa, ma son lavoratori, a mio parere più importanti del gusto che si prova ad ammirare un autogrill che sembra un giardino pensile di Babilonia.

Beh, si sappia che oltre a esserci chi nel settore degli Istituti di Vigilanza investe in mezzi, strutture e addestramento, c’è anche chi – magari lo stesso soggetto – rifiuta di partecipare a determinati bandi, sapendo che andranno vinti da chi fa lo squalo come 2° lavoro, e chiede pochissimo, disposto poi a rivalersi sul dipendente con clausole-capestro e – talvolta – mezze estorsioni. Perché accade.

Inutile sperare che le ditte “brutte, sporche e cattive” facciano cartello a loro volta – di per sé illegale – per alzare le tariffe e renderle adeguate a garantire un guadagno equo all’operatore. Ma con tutta l’eticità che trasuda dalle grandi aziende che ho nominato, Stato compreso, e dalle altre che non ho elencato per brevità, non sarebbe tempo di aspettarci un intervento concordato fra colletti bianchi con belle cravatte e severi tailleurs con spilla d’oro e corallo, per non ridurre anche quest’anno rispetto al precedente il CO2 emesso, non aumentare la quantità d’energia riciclata, e dedicarsi, una volta tanto, a quella sfigatissima gente che per sbarcare il lunario deve pulirgli scale, bagni, uffici, e vigilarglieli?

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