Huffington Post, Urbano: Cashback sì, cashback no
Articoli comparsi in questi giorni raccontano come l’iniziativa sul cashback di Stato sia stata poco apprezzata dai cittadini, se è vero che solo una carta di credito su 10 è stata inserita nell’apposita applicazione necessaria per usufruirne.
D’altronde, il governo Draghi ha fatto filtrare di avere seri dubbi sulla prosecuzione di un’iniziativa ancora in una fase sperimentale che, a fronte di un costo stimato per lo Stato fino a 4,5 miliardi di euro, sembra non essere riuscita ad incrementare il ricorso ai pagamenti digitali, se non tra i cittadini che già abitualmente ricorrevano a questo strumento, vanificandone quindi la ratio.
Gli stessi soldi, invece, potrebbero essere utilmente destinati a riforme strutturali o per sostegni mirati. Alla fine dello scorso anno Yves Mersch, membro uscente del Consiglio Direttivo della Bce, aveva scritto in una lettera inviata all’ex ministro dell’Economia e Finanze, Roberto Gualtieri, che l’iniziativa italiana sul cashback è “sproporzionata alla luce del potenziale effetto negativo che tale meccanismo potrebbe avere sul sistema di pagamento in contanti ed in quanto compromette l’obiettivo di un approccio neutrale nei confronti dei vari mezzi di pagamento disponibili”.
L’analisi di Mersch è in linea con quanto Assiv sostiene da tempo, ovvero che non è mai stato dimostrato che la limitazione all’uso del contante generi un risultato significativo nella lotta all’evasione fiscale, mentre è certo che sconsiderate misure restrittive provocano disorientamento in ampie fasce della popolazione, spesso le più fragili, per le quali la cashless society è solo l’ennesimo incomprensibile anglicismo, nonché contribuiscono a determinare la crisi del settore del trasporto valori, che oggi impiega migliaia di persone, è parte integrante del più ampio comparto della sicurezza privata e ha investito capitali importanti per garantire altissimi standard a un servizio che resta centrale per la nostra economia.
Ci appare istruttivo, in proposito, proseguire nel citare Mersch, il quale giustamente afferma che “la possibilità di pagare in contanti rimane particolarmente importante per taluni gruppi sociali, che, per varie legittime ragioni, preferiscono utilizzare il contante piuttosto che altri strumenti di pagamento […] i pagamenti in contanti agevolano l’inclusione dell’intera popolazione nell’economia”.
Ecco, quindi, un problema nei confronti del quale non si può fare finta di nulla: la popolazione italiana ha un’età media tra le più alte del mondo e l’utilizzo di mezzi di pagamento elettronico necessita di uno stravolgimento culturale che non è eticamente corretto imporre brutalmente, senza che peraltro siano certi i benefici.
Inoltre in Italia ci sono 5.509 comuni sotto i 5.000 abitanti, circa il 70% del totale, molti dei quali localizzati in zone nelle quali non sempre arriva una linea internet veloce e stabile, tale da garantire un effettivo vantaggio economico all’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici.
Ancora, quanti possono essere gli utenti giornalieri dei negozi al dettaglio di questi piccoli comuni? Molto spesso in numero insufficiente a giustificare la scelta di dotarsi di POS, con relative commissioni bancarie, da parte degli esercizi commerciali. Insomma, ben venga la lotta all’evasione, ben vengano le iniziative governative e parlamentari che intendono porla al centro di una più complessiva politica di riforma del sistema impositivo e della riscossione, non dimentichiamoci tuttavia di quali siano i deficit infrastrutturali (e culturali) del nostro Paese: affrontiamo prima quelli, poi penseremo al resto. Altrimenti si rischia di “guardare il dito e non la luna”.
Maria Cristina Urbano