Per l’economia italiana si conferma la crescita zero, con qualche segnale di miglioramento nel secondo semestre del 2019, grazie al calo dei tassi sovrani e a una schiarita per i consumi.Ma gli investimenti privati sono in peggioramento e la crescita dell’export è fragile, frenata da scambi mondiali fermi e industria europea in affanno. L’economia USA è resiliente, ma per la Brexit aumenta il rischio “no deal” e gli emergenti sono in stallo.
L’economia italiana e mondiale in breve
- L’economia italiana non cresce. Nel 2° trimestre il PIL in Italia è rimasto fermo, come atteso. Ha pesato la dinamica negativa del settore industriale: produzione in calo e indice PMI (Purchasing Managers’ Index) in area di contrazione.. Per l’occupazione, invece, l’andamento è stato positivo (+0,5%), ma ciò può indicare che è in corso la creazione di posti di lavoro di basso valore nei servizi.
- In prospettiva, qualche luce… L’Italia ha iniziato il 3° trimestre con alcuni segnali di miglioramento, che si affiancano a diversi dati ancora negativi. Il primo segnale è che nei servizi il PMI è tornato in area di espansione (50,5), mentre nell’industria il CSC stima una produzione ancora in discesa a luglio (-0,6%).
- … calano i tassi sovrani… Il secondo dato positivo è che a luglio si è accentuata la discesa del tasso sul BTP decennale (di oltre sei decimi, all’1,66%). Negli altri paesi dell’Eurozona il calo è stato minore, perché i rendimenti erano già scesi molto a giugno. Ma i rendimenti italiani restano troppo alti: Francia e Belgio sono entrate nel club dei tassi negativi, con Irlanda e Germania (-0,36%); la Spagna è poco sopra (0,36%). Il parziale riallineamento dell’Italia al trend calante dei tassi europei,innescato dalla BCE, riflette l’aver evitato la procedura di infrazione per il debito e dati recenti migliori delle attese. Questo potrebbe aiutare la competitività delle aziende italiane, penalizzate dalla stretta sul credito originata dai tassi alti: ciò ha portato in calo i prestiti (-0,2% annuo a maggio), anche se il costo è ai minimi (1,4%).
- … schiarita per i consumi. Terzo, la fiducia delle famiglie è risalita nettamente a luglio, ai valori di gennaio, per il maggiore ottimismo su economia e bilancio familiare. Inoltre, gli ordini interni dei produttori di beni di consumo hanno recuperato a giugno-luglio, pur su livelli bassi. Il 2° trimestre invece era stato debole, con vendite al dettaglio in calo (-0,8% a maggio), anche per i beni alimentari.
- Ma investimenti in peggioramento… Continuano a diminuire marcatamente a luglio gli ordini interni dei produttori di beni strumentali e la fiducia delle imprese manifatturiere è in ulteriore calo. Ciò preannuncia un andamento negativo degli investimenti nel 3° trimestre. Invece, la fiducia è salita per le imprese di costruzioni, indicando che l’attività nel settore potrebbe migliorare nei mesi estivi.
- … e crescita fragile dell’export… A maggio le vendite italiane sono cresciute (+1,3%) e a giugno risultano robuste le extra-UE, favorite da euro debole e fattori specifici (accordo commerciale con il Giappone, dazi USA sui beni cinesi). Migliorato anche l’export nei mercati UE. Tali buoni dati sono stati trainati dai beni di consumo (alimentari, farmaceutici, abbigliamento). Tuttavia, le indicazioni per i mesi estivi sono negative: gli ordini manifatturieri esteri segnalano, infatti, un indebolimento della domanda.
- … frenato da scambi fermi… A pesare sul nostro export è lo stallo del commercio (-0,3% tra marzo e maggio), a causa dell’elevata incertezza geoeconomica, tornata ai massimi a giugno. Le indicazioni a breve sono negative: gli ordini esteri nel PMI globale sono in area di contrazione (49,1 a giugno).
- … e industria europea in affanno. In particolare, nell’Area euro si prospetta un 3° trimestre debole, come già il 2° (+0,2%). Ciò per il peggioramento nell’industria (specie Germania e settore auto): la fiducia delle imprese è calata ancora a luglio, il PMI è caduto a 46,4. Il settore dei servizi è più resiliente e l’occupazione totale cresce, anche se ciò non alimenta la fiducia delle famiglie, piatta da inizio 2019.
- Mercati pro-crescita. L’euro non mostra una direzione precisa (1,11 dollari a fine luglio), ma si mantiene su livelli favorevoli all’export dell’area. Anche il prezzo del petrolio continua a oscillare, su valori contenuti (64 dollari al barile a luglio). Le Borse hanno messo a segno un altro mese di lievi recuperi, dopo quelli di giugno; non in Italia, dove le quotazioni restano compresse, specie le bancarie.
- Brexit: aumenta il rischio “no deal”. Il 23 luglio Boris Johnson è divenuto Premier del Regno Unito, dichiarando di voler ultimare la Brexit il 31 ottobre, lasciando poco tempo alle trattative. In ogni caso, è prioritario ridurre le incertezze, che danneggiano l’economia: sterlina svalutata del 12% dai livelli pre-Brexit, fiducia dei consumatori ai minimi, PMI in calo, con le costruzioni al valore più basso dal 2009.
- Economia USA resiliente. Il PIL nel 2° trimestre ha sorpreso al rialzo, pur frenando, ma la produzione industriale è stata piatta a giugno. Buoni segnali da vendita di beni durevoli e settore immobiliare, con fiducia dei consumatori in calo ma elevata. Importante l’accordo al Congresso sul bilancio pubblico che evita un “default”, con aumento della spesa di 320 miliardi in 2 anni e sospensione del tetto del debito.
- Emergenti in stallo. Dalla Cina lievi segnali di frenata, con l’indice PMI manifatturiero a 49,4 a giugno. I PMI si riducono anche in India, Indonesia e Russia; il Brasile è l’unico con un miglioramento (51,0). A fronte di tale fase di stallo, non stupisce che i mercati azionari in questi paesi si mostrino attendisti.
Focus del mese – Margini d’impresa in calo. E con il salario minimo?
- Margini operativi bassi e calanti… La redditività delle imprese industriali italiane è in diminuzione, su livelli molto contenuti. Misurata dal margine operativo lordo (in percentuale del valore aggiunto, dati ISTAT) è caduta al 33,0% a inizio 2019, dal 35,4% nel 2017, quando si era registrato un discreto recupero. Con tale caduta, il MOL è di nuovo sceso molto sotto i valori pre-crisi (35,7% nel 2007), anche se resta sopra il minimo toccato nel 2013.
- …frenano gli investimenti. Margini operativi così ridotti per le imprese rappresentano un freno ai nuovi progetti di investimenti produttivi. Infatti, il rendimento che le imprese possono attendersi, nel medio-lungo termine, da un ampliamento dell’attività può non essere sufficiente a coprire i costi. Inoltre, margini compressi significano meno risorse interne per auto-finanziamento, proprio mentre il credito bancario è divenuto più selettivo. Contribuendo al calo degli investimenti, ciò tiene bassa la crescita dell’economia italiana.
- Mark-up in caduta dal 2018. L’erosione del MOL va di pari passo con quella dei margini unitari sui costi. Nella manifattura il mark-up è in netto ribasso dal 2° trimestre 2018, con un calo dell’1,0% annuo a inizio 2019 (dati ISTAT). La crescita dei costi unitari variabili delle imprese (+1,9%), specie per il lavoro ma anche per le commodity, infatti, sta sopravanzando il lento aumento dei prezzi di vendita (+0,9%), la cui dinamica è frenata dalla debolezza dei consumi domestici. L’erosione dei margini delle imprese riguarda l’intera economia italiana, a ritmi analoghi a quelli registrati nel settore industriale.
- Fino al 2017, redditività discreta in media… Elaborazioni effettuate da Cerved e Centro Studi Confindustria, su dati di bilancio disponibili fino al 2017, confermano che i proventi della gestione operativa delle imprese manifatturiere italiane, al netto dei costi per lavoro, materie prime, servizi, erano risaliti in tale anno a un livello vicino a quello pre-crisi (7,9% del fatturato, da 8,0% nel 2007). Dunque, il flusso della redditività, per la media delle aziende, era tornato su livelli quasi “normali”, dopo la fase di forte difficoltà affrontata dal 2008 al 2013.
- … ma piccole imprese già in difficoltà. L’analisi dei dati di bilancio evidenzia, però, una notevole eterogeneità negli andamenti della redditività, a seconda della dimensione di impresa. Per le piccole, i proventi netti operativi erano molto ridotti nel 2017 rispetto ai già bassi valori pre-crisi. Anche per le grandi aziende erano sotto i valori del 2007, ma su livelli sempre più alti rispetto alle piccole. Le medie, invece, erano riuscite ad accrescere i proventi in modo marcato, avvicinandosi ai livelli delle grandi. L’erosione partita nel 2018, quindi, non fa che aggravare la situazione delle piccole imprese, che partivano da livelli di redditività già esigui.
- E l’introduzione del salario minimo… A fronte di tale compressione della redditività delle imprese già in atto, suscita preoccupazione la proposta, in esame in Parlamento, di introduzione di una retribuzione lorda minima oraria, fissata a 9 euro. Tale livello sarebbe pari a oltre l’80% della retribuzione mediana oraria italiana, in netto disallineamento rispetto a ciò che accade nei 22 paesi UE in cui esiste già un salario minimo legale, dove esso rappresenta, mediamente, appena il 45% del salario mediano.
- … eroderebbe ancor più i margini… Un livello di salario minimo così elevato in Italia rischia di avere ampi effetti negativi su occupazione e crescita economica. Esso causerebbe, infatti, un forte aggravio di costo per le imprese che, se non traslato sui prezzi finali (come probabile, nel debole contesto attuale), si tradurrebbe in un’ulteriore compressione del MOL dell’1,6%, secondo stime ISTAT riferite al settore privato non agricolo. L’impatto sui margini, peraltro, potrebbe essere pari a oltre il doppio di tale valore, stando a stime INPS.
- … specialmente per le piccole imprese. Gli effetti negativi del salario minimo potrebbero essere più ampi per realtà aziendali meno produttive, quali mediamente sono le imprese di piccole dimensioni e quelle localizzate nel Mezzogiorno. Basti pensare che 9 euro orari rappresentano quasi il 90% della retribuzione mediana delle imprese fino a 9 dipendenti e di quelle localizzate nelle regioni del Sud Italia.