Dove va l’economia italiana e gli scenari geoeconomici –
primavera 2019
Il Rapporto evidenzia la stagnazione dell’economia italiana e la recessione si evita solo grazie all’export. Ma attenzione ai fattori geoeconomici, altamente incerti, che potrebbero avere un significativo impatto sulla crescita italiana.
Rapporto di previsione sull’economia italiana
Italia ferma L’economia italiana è prevista sostanzialmente in stagnazione nel 2019 e in esiguo miglioramento nel 2020. Rispetto alle previsioni formulate ad ottobre 2018, la crescita per quest’anno è rivista nettamente al ribasso: tre quarti da minore domanda interna, un quarto da quella estera. Già in ottobre il Centro Studi Confindustria aveva ridotto la stima di crescita e aveva evidenziato una lunga serie di rischi, interni ed esterni, alcuni dei quali si sono poi materializzati. In particolare:
• una manovra di bilancio poco orientata alla crescita;
• nessuna evidenza inequivocabile di una netta riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL, con inevitabili riflessi sull’appetibilità dei bond italiani per i mercati finanziari;
• consumi delle famiglie in rallentamento e propensione al risparmio in crescita;
• mercato europeo dell’auto in difficoltà, a fronte della minaccia di dazi USA.
Nel 2019 la domanda interna risulterà praticamente ferma e una recessione potrà essere evitata solo grazie all’espansione, non brillante, della domanda estera. A meno che non si realizzi l’auspicato cambio di passo nella politica economica nazionale.
Il dato del PIL per la media 2019, statisticamente, risente anche della chiusura negativa del 2018. Lo scorso anno, infatti, è stato diviso nettamente in due. Nella prima parte, l’economia italiana ha continuato a crescere, sebbene a ritmi molto ridotti. Nella seconda metà, invece, tutti gli indicatori hanno virato in negativo e il PIL ne ha risentito, registrando un lieve arretramento.
Due elementi sfavorevoli, che si sono determinati dalla metà del 2018, hanno contribuito in misura marcata al deterioramento dello scenario. Il 2019 li eredita entrambi e, quindi, continueranno a penalizzare l’attività economica nell’orizzonte previsivo:
1. il rialzo di circa un punto percentuale dei rendimenti sovrani rispetto ai minimi dei primi mesi del 2018, che si sta rivelando persistente; ciò a riflesso dell’aumento del premio al rischio che gli investitori chiedono per detenere titoli pubblici italiani;
2. il progressivo crollo della fiducia delle imprese, specie nel manifatturiero, a riflesso del clima di forte incertezza nell’economia; a questo si è sommato, più di recente, un deterioramento anche del sentiment delle famiglie italiane.
La fiducia degli operatori economici è un elemento cruciale dello scenario: se manca, ne risentono le decisioni di spesa di famiglie e imprese. Inoltre, con una fiducia bassa rischia di incepparsi la trasmissione all’economia delle misure di policy espansive.
Nello scenario CSC, il 2019 e il 2020 saranno per l’economia italiana due anni con forti differenze nell’andamento delle principali componenti del PIL.
Questo anche perché i due anni saranno caratterizzati, ciascuno, da nuove rilevanti misure di policy.
Nel 2019 entrano in vigore due strumenti:
1. il Reddito di cittadinanza (Rdc), una misura strutturale di sostegno al reddito delle famiglie;
2. la cosiddetta “Quota 100”, nuova opzione di pensionamento anticipato, che è invece una misura introdotta in via sperimentale per il triennio 2019-2021.
Tali misure, soprattutto il Rdc, daranno un contributo, seppure esiguo, alla crescita economica, concentrato nel primo anno di implementazione. Tuttavia, questi che sono i due pilastri della Legge di bilancio, già annunciati nella primavera 2018 con il Contratto di Governo, a causa dell’ampio impatto atteso sui conti pubblici hanno contribuito al determinarsi proprio dei due suddetti fattori sfavorevoli: rialzo dei rendimenti sovrani e cambio di tendenza della fiducia delle imprese.
Per il 2020 ci sarà invece il previsto aumento di circa tre punti delle aliquote IVA ordinaria e ridotta. L’attività economica ne risulterà penalizzata, attraverso vari canali (Grafico A). Secondo stime CSC, l’attivazione delle clausole di salvaguardia determinerà una minor crescita del PIL il prossimo anno quantificabile in -0,3 punti percentuali, ma il rapporto tra deficit pubblico e PIL migliorerebbe di 0,9 punti rispetto al tendenziale.
La finanza pubblica appare, allora, a un bivio. Quest’anno il deficit aumenta di mezzo punto di PIL. Per il 2020 il Governo ha sostanzialmente ipotecato i conti pubblici con l’ultima Legge di bilancio e non ci sono opzioni né facili, né indolori: la scelta sarà tra aumentare l’IVA (come previsto dalle clausole) o far salire il deficit pubblico. La scrittura della prossima Legge di bilancio sarà un arduo esercizio.
L’alternativa, di non aumentare l’IVA, avrebbe meno effetti recessivi diretti, ma non è percorribile: porterebbe il rapporto tra deficit pubblico e PIL pericolosamente oltre il 3 per cento e nelle attuali condizioni di credibilità e fiducia non sarebbe sostenibile. Infatti, un totale annullamento delle clausole a deficit, arrivate a valere 1,3 punti di PIL, farebbe schizzare l’indebitamento al 3,5 per cento e potrebbe causare un ulteriore aumento dei tassi di rendimento sui titoli di Stato che, oltre a retroagire sul deficit, avrebbe effetti recessivi addizionali.
Peraltro, se il quadro di finanza pubblica fosse quello delineato dal Governo, anche con l’attivazione delle clausole il rispetto degli impegni con i partner europei richiederebbe una ulteriore correzione nel 2020, ampliando la portata recessiva della prossima manovra. Infatti, le stime CSC sulla crescita nominale il prossimo anno sono ben più basse di quelle del Governo (2,2 per cento rispetto a 2,9).
Guardando alle principali componenti del PIL, si fa urgente il tema della domanda interna. Gli investimenti si bloccano e i consumi delle famiglie oscillano tra calo della fiducia, variazioni della propensione al risparmio, risorse provenienti dal Rdc, rincari IVA.
• Consumi privati. La spesa delle famiglie è prevista crescere poco nel 2019 – sebbene con un profilo trimestrale crescente in corso d’anno – e frenare nel 2020. Questa previsione è spiegata da due fattori, che agiscono in modi differenziati nei due anni.
Primo, nel 2019 è previsto un aumento del reddito disponibile delle famiglie, anche grazie all’entrata in vigore di Rdc e Quota 100. Nel 2020, viceversa, il forte aumento dell’IVA avrà, attraverso l’aumento dei prezzi, ricadute sul potere d’acquisto, previsto in calo.
Secondo, affinché il maggior reddito si trasformi in consumo e non in risparmio e, quindi, si materializzi un effetto espansivo sull’economia, è cruciale che la fiducia delle famiglie smetta di scendere e riprenda quota. Si vede nella propensione al risparmio delle famiglie che si è già posizionata lungo un trend di aumento dallo scorso anno, per l’intensificarsi dei motivi precauzionali a causa del contesto di alta incertezza sul futuro.
Tenuto conto di questi fattori, nello scenario CSC il tasso di risparmio registrerà un ulteriore incremento nel 2019, frenando l’impatto positivo sui consumi del maggior reddito. Viceversa, nel 2020 è stimato un cambio di rotta, con un’erosione del tasso di risparmio, motivata dal tentativo delle famiglie di sostenere i consumi a fronte delle minori risorse in termini reali.
• Investimenti privati. La spesa per capitale fisso è attesa in calo nel 2019, dopo quattro anni di risalita. Per il 2020 si prevede una debole ripartenza, del tutto insufficiente a riportare gli investimenti su un trend di recupero che li riconduca ai valori pre-crisi.
Il blocco atteso nel 2019 è spiegato da diversi fattori. Il principale è la bassa fiducia delle imprese che depotenzia anche le misure di stimolo ancora in campo. A ciò si sommano:
• elevata incertezza sulla domanda;
• mancata conferma del “super-ammortamento” nella Legge di bilancio;
• bassa efficacia dei provvedimenti dell’ultima manovra di bilancio (mini- IRES);
• riassestamento fisiologico dopo gli incentivi degli ultimi anni.
L’esiguo recupero degli investimenti nel 2020 è spiegato dall’effetto netto di forze opposte: l’ipotesi di miglioramento del contesto globale, che spinge a maggiore domanda e sostiene la fiducia degli imprenditori; l’aumento dell’IVA, che riduce margini e liquidità delle imprese, nella misura in cui il rincaro non viene interamente scaricato a valle sui prezzi al consumo.
Il credito, inoltre, potrebbe tornare a essere un fattore frenante in tutto il biennio, dopo aver sostenuto, seppur poco, l’attività nel 2018. Infatti, il prolungato periodo di più alti tassi sovrani in Italia sta facendo sentire, anche se con ritardo rispetto a passati episodi, i suoi primi effetti restrittivi sui volumi di credito alle imprese. E un impatto al rialzo sul costo del credito è atteso materializzarsi nel 2019. I nuovi prestiti alle banche appena varati dalla BCE (le cosiddette T-LTRO-3) sono cruciali per evitare problemi nella raccolta bancaria nel 2020 e, quindi, scenari peggiori per il credito, non certo per ammorbidire le condizioni del credito rispetto alla situazione corrente.
• Investimenti pubblici. La spesa pubblica in conto capitale non sorreggerà l’attività economica, secondo lo scenario CSC. In linea con le prospettive delineate dal Governo, dovrebbe diminuire ulteriormente nel 2019 e registrare un rimbalzo solo nel 2020. Il rischio è che, ex post, gli investimenti pubblici siano ancora minori, come si è registrato a consuntivo nel triennio 2016-2018.
Ogni iniziativa per sbloccare le risorse stanziate deve essere sostenuta e accelerata. Così come iniziative per sostenere gli investimenti privati e scongiurare crisi del credito.
• Export. La crescita delle esportazioni è prevista acquisire un po’ di velocità già nel 2019, anche grazie, statisticamente, alla buona performance di fine 2018. E per il 2020 si prevede un’ulteriore accelerazione, su ritmi che rimangono però inferiori rispetto a quelli degli anni post seconda recessione.
Per il 2019 si tratta, comunque, di una stima rivista al ribasso rispetto allo scenario di ottobre 2018. Ciò è coerente con la minore espansione ipotizzata del commercio mondiale quest’anno, che risente ancora della fase difficile attraversata nel 2018, specie a causa dei nuovi dazi americani. La minore espansione degli scambi internazionali, rispetto a quanto ci si attendeva, va di pari passo con il rallentamento della crescita in tutte le principali aree: soprattutto Eurozona e paesi emergenti, in minor misura USA.
Il rallentamento in Europa, specie in Germania, è rilevante anche per il ruolo che la produzione italiana ha nelle catene del valore che si sviluppano tra i paesi del continente. L’Italia, oltre a essere un esportatore di prodotti finiti, riveste anche un importante ruolo di fornitore di beni intermedi, buona parte dei quali viene inglobata nei manufatti tedeschi. In undici regioni italiane le esportazioni di beni verso la Germania pesano più del 20 per cento del valore aggiunto manifatturiero. Dunque, proprio la forte integrazione produttiva che si è realizzata negli ultimi due decenni tra i due paesi, contribuendo al successo delle esportazioni italiane negli scorsi anni, tiene frenate oggi le vendite all’estero.
Il differenziale negativo di crescita dell’Italia rispetto al resto dell’Eurozona, comunque, resta molto ampio nel biennio di previsione, superiore a un punto percentuale, dopo essere diminuito temporaneamente solo nel 2016-2017. Perciò, le frenate in Europa da noi diventano stagnazione.
Lo scenario CSC si fonda sull’assunzione di una normalizzazione delle tensioni protezionistiche e dei rapporti commerciali a livello internazionale, specie tra USA e Cina, favorendo una graduale ripresa degli scambi esteri. L’effetto positivo, in termini di dati medi annui, sarà pienamente visibile nel 2020.
Si tratta di un’ipotesi cruciale, visto che l’andamento altalenante dell’export italiano nel 2018 è stato spiegato soprattutto dalla debolezza della domanda extra-UE per i prodotti europei. Per il 2019-2020, le prospettive per le vendite in alcuni mercati extra-UE sono già migliori. Molto importanti sono i possibili sviluppi del rallentamento in atto in Cina: si assume che il paese riesca a contrastare un’eccessiva frenata e, quindi, che l’import cinese riparta nel biennio.
Ma gli scenari geoeconomici sono complessi e altamente incerti. Ecco perché non si può dare per scontato che il PIL italiano regga quest’anno e si irrobustisca – seppur marginalmente – il prossimo.
Per approfondimenti sugli scenari geoeconomici rimandiamo al rapporto allegato