Confindustria: Caro energia persistente, inflazione record e rialzo dei tassi frenano l’economia a fine 2022
Ancora in rallentamento l’economia italiana: il caro-energia è persistente e l’inflazione è a valori record. Inoltre, con il rialzo dei tassi di interesse e la minore liquidità a causa delle bollette energetiche, le imprese italiane rischiano di indebitarsi a costi alti. La manifattura tiene, i servizi sono andati bene in estate, le costruzioni sono in frenata. L’export italiano è in espansione finora, ma l’Eurozona è attesa debole e negli USA il rimbalzo potrebbe essere temporaneo.
L’economia italiana e internazionale in breve
Si conferma la caduta a fine anno? Fino al 3° trimestre l’economia italiana ha resistito al caro-energia oltre le aspettative: in aggregato, il PIL è cresciuto (+3,9% “acquisito” per il 2022, +0,5% in estate). Il turismo in espansione è stato il principale driver. L’industria ha continuato a reggere in termini di produzione, a fronte di costi altissimi, con ampia eterogeneità tra settori, ma la situazione tesa sui margini non giova agli investimenti. Un aiuto viene dalla (limitata) flessione dei prezzi delle commodity non energetiche e dagli interventi del Governo per compensare (in parte) i rincari energetici. Le costruzioni hanno frenato. I fallimenti totali sono aumentati di poco. Ma nel 4° trimestre si rischia un calo: gli indicatori qualitativi sono nel complesso negativi; il prezzo del gas resta alto, da troppi mesi; l’inflazione che ne deriva (+11,8% annuo) erode reddito e risparmio delle famiglie e avrà un impatto negativo sui consumi; il rialzo dei tassi si sta accentuando, un’altra zavorra sui costi delle imprese.
Brusco rimbalzo del gas. Il prezzo del gas in Europa sta risalendo rapidamente a novembre (89 euro/mwh in media, 118 l’ultimo dato), dopo la netta flessione dai picchi registrata ad ottobre (72 euro medi); tale andamento riflette le alterne notizie sull’offerta russa di gas, ma anche le difficili e prolungate trattative UE su un eventuale price cap. Il petrolio resta caro, ma sotto i picchi, continuando ad oscillare da settembre intorno a 90 dollari al barile (da 123 a giugno): l’estrazione mondiale si è riportata da agosto sopra i consumi in frenata e quindi le scorte OCSE risalgono.
La manifattura regge, per quanto ancora? La produzione industriale ha mostrato un calo marcato a settembre (-1,8%), ma nella media del 3° trimestre è scesa poco (-0,4%). La manifattura ha tenuto bene (-0,1%): tale dato, letto insieme alle scorte in rapido aumento nel settore da aprile, suggerisce che alcune imprese hanno anticipato produzione, prima dell’aumento dei prezzi energetici effettivamente pagati (alla scadenza dei contratti pre-crisi). Questo potrebbe preludere a una caduta marcata nei prossimi mesi. E gli indicatori qualitativi sono peggiorati, tracciando la rotta per un più pesante segno meno nel 4° trimestre: il PMI in ottobre è sceso ancor più in area negativa (46,5); i giudizi sugli ordini proseguono la flessione (-9,6 a novembre); la fiducia delle imprese manifatturiere resta compressa.
Uno stop nelle costruzioni. Nelle costruzioni si conferma la frenata, che era segnalata dagli indicatori sui cantieri in forte calo. La produzione del settore è cresciuta poco a settembre (+0,2%) e nella media del 3° trimestre registra una flessione (-2,2%), dopo ben 6 trimestri consecutivi in forte espansione.
Servizi e consumi bene in estate. Il recupero del turismo in Italia ha fatto proseguire il rimbalzo dei servizi nel 3° trimestre: la spesa dei viaggiatori stranieri in agosto è salita per la prima volta oltre i valori pre-Covid e a settembre è arrivata a +11,4% (da -1,4% a luglio). La maggiore spesa per servizi va di pari passo col recupero dei consumi, ma crescono pure le vendite al dettaglio di beni, a ritmo sostenuto inglobando i maggiori prezzi (+1,2% nel trimestre; +2,1% gli alimentari). Per il 4° trimestre, segnali misti: in ottobre il PMI servizi è sceso (46,4 da 48,8), a novembre la fiducia dei consumatori ha recuperato.
Export in espansione finora. A settembre l’export è tornato a crescere, grazie alle vendite extra-UE (che cedono però in ottobre). Nella media del 3° trimestre la dinamica è stata robusta (+2,7% in valore), ma anche per l’aumento dei prezzi (+1,1% in volume). L’espansione delle vendite italiane è trainata dal mercato USA, specie nel farmaceutico e abbigliamento, anche grazie all’euro debole. Fiacche, invece, le esportazioni verso Cina e Giappone e ridotte le vendite in Russia (di circa un terzo). Negative le indicazioni sugli ordini manifatturieri esteri, molto deboli in ottobre. In prospettiva peserà la debolezza della domanda estera, specie in Europa, a causa di incertezza e inflazione. Il commercio mondiale si conferma in crescita, seppur a ritmo calante, a fronte di indicazioni qualitative negative da mesi.
Eurozona attesa debole. Dopo un 3° trimestre ancora positivo (PIL +0,2%), pur in rallentamento, gli indicatori mostrano un deterioramento per le prospettive economiche dell’Eurozona. La fiducia si ferma a 92,5 in ottobre (96,5 nel 3° trimestre), mentre l’indice sulle aspettative occupazionali scende a 104,9 (da 107,1). Se nella prima parte del 2022 il rimbalzo di consumi e investimenti ha sostenuto la crescita, con un forte contribuito di servizi e turismo in estate, i rincari energetici fanno prevedere un’ulteriore frenata dell’attività per fine anno, specie delle imprese, la cui fiducia è scesa a 0,76 in ottobre (da 0,82).
USA: rimbalzo temporaneo? Nel 3° trimestre il PIL USA è risalito (+0,6%) dopo due cali consecutivi, grazie al miglioramento nell’export (+3,4%). La spesa pubblica è tornata a crescere dopo oltre un anno (+0,6%), ma i consumi hanno rallentato (+0,4%) e gli investimenti sono diminuiti (-2,2%). Anche la produzione industriale ha frenato nel 3° trimestre. E a ciò è seguito un calo in ottobre (-0,1%), anche del PMI manifatturiero (50,4 da 52,0) e dell’indice dei Direttori degli acquisti di Chicago, che disegnano un 4° trimestre fiacco. Buone notizie dall’inflazione USA, che scende: +7,7% a ottobre, da +9,1% a giugno.
Focus del mese – Meno liquidità, le imprese si indebitano a costi alti
- La lotta all’inflazione non è gratis. L’impennata dell’inflazione nell’Eurozona (+10,6% annuo), dovuta per lo più ai rincari di energia e commodity, ha indotto la BCE ad alzare i tassi di interesse (al 2,00%). Se, da un lato, ciò potrebbe in parte contenere l’inflazione (frenando le aspettative sui prezzi), rischia però di peggiorare lo scenario, almeno nel breve periodo.
- Impatto sui tassi a lunga. Il rialzo dei tassi BCE ha rafforzato il trend di aumento dei tassi sovrani in tutta Europa (pur con qualche rientro di recente), che era già in atto da inizio anno sulla scia dei Treasury americani. Il Bund a 10 anni è salito a 2,10% in media a novembre, da -0,31% a fine 2021. Si sono ampliati anche gli spread col Bund: in Italia +1,90 a novembre, da +1,28. Il rendimento del BTP italiano ha riflesso tali rialzi, arrivando al 4,00% a novembre, da 0,97% a fine 2021. In Italia il tasso sul BTP è storicamente cruciale per determinare il costo della raccolta bancaria e, quindi, il tasso che le banche applicano al credito per le imprese (e le famiglie).
- Aumenta il costo del credito. Il rialzo, in effetti, ha già iniziato a trasferirsi sui tassi pagati dalle imprese in Italia, che fino a settembre sono aumentati di quasi un punto (da 1,74% a 2,59% per le PMI; da 0,76% a 1,69% per le grandi) e sembrano destinati a salire molto di più. Ai valori attuali, considerando il rinnovo dei prestiti in scadenza entro un anno e anche la quota di operazioni a tasso variabile (maggiore dal 2020 rispetto agli anni precedenti), si stima che il costo del credito per le imprese aumenta di +2,3 miliardi in un anno, che rischiano di diventare +6,8 miliardi se il rialzo dei tassi seguirà pienamente quello del BTP. Il rincaro del credito riguarda naturalmente anche le famiglie italiane: il tasso Taeg per il credito al consumo è già salito da 8,08% a 8,83% a settembre, quello medio sui mutui casa da 1,78% a 2,65%.
- Erosione della liquidità. L’aumento dei tassi sul credito si innesta su una situazione già difficile. Dopo il recupero del 2021, in Italia il livello di liquidità delle imprese, rispetto alle esigenze operative, si sta deteriorando rapidamente dall’inizio del 2022. Il calo è più significativo per le piccole e medie imprese. L’indicatore qualitativo non è ai minimi del 2020, ma la rapida flessione è preoccupante. E sembra riflettere le maggiori risorse (appunto liquide) che vengono assorbite dai pagamenti mensili per gli input, specie energia.
- Prestiti in aumento, a fatica. L’indagine Banca d’Italia mostra, coerentemente, che è cresciuta molto nel 2° e 3° trimestre 2022 la domanda di credito a breve termine da parte delle imprese, mentre si è ridotta quella per il lungo termine. Le imprese, secondo l’indagine, chiedono più prestiti per scorte e capitale circolante, meno per investimenti: un chiaro sintomo di scenario di emergenza. Sul fronte dell’offerta bancaria si registrano segnali di irrigidimento da inizio 2022, soprattutto per il peggioramento delle prospettive economiche, ma anche per difficoltà degli istituti su capitale e raccolta (che non si registravano dal 2012). Il risultato è il ritorno alla crescita sia dei prestiti alle imprese (+4,4% annuo a settembre; picco di +8,7% nel 2020), sia della quota di imprese che non li ottiene (7,8% nella manifattura nel 3° trimestre, 4,5% a fine 2021). Anche la dinamica del credito alle famiglie ha accelerato nel 2022, sebbene meno (+4,2% a settembre).
- Indebitamento già elevato. Le imprese italiane, però, già appesantite dall’indebitamento emergenziale del 2020, necessario nel lockdown con i fatturati azzerati, avrebbero bisogno oggi di alleggerire il peso del debito, anzitutto allungando i tempi di rimborso dei prestiti già in essere, invece di tornare a indebitarsi ulteriormente. Inoltre, nella misura in cui l’esigenza di liquidità, indotta dal caro-energia, conduce a debito addizionale, ciò avviene a tassi crescenti sulle nuove operazioni: l’onere del debito, dunque, cresce due volte.
- Freno agli investimenti (e ai consumi). Tutto ciò assottiglia le risorse delle imprese disponibili per realizzare investimenti e lo fa in uno scenario che aveva già virato in direzione recessiva. L’onere del debito, infatti, assorbirà una quota crescente del fatturato delle aziende, se non si agisce sui prezzi dell’energia e se i tassi ufficiali continueranno a salire, come annunciato. In parallelo, lo stesso avviene nei bilanci delle famiglie che, a fronte di maggiori rate per mutui e altri prestiti, si ritrovano con meno risorse per i consumi di beni e servizi.
Fonte: Centro Studi Confindustria