Assiv: Security Manager, quale futuro in Italia?

Lo scorso 12 maggio i Ministri della Transizione Ecologica e della Mobilità Sostenibile, Roberto Cingolani ed Enrico Giovannini, hanno dato attuazione con decreto interministeriale alla figura del Mobility Manager, prevista dalla legge n.77 del 17 luglio 2020. Obiettivo “la riduzione dell’impatto ambientale derivante dal traffico veicolare nelle aree urbane e metropolitane negli spostamenti sistematici casa-lavoro”. Come si legge nel comunicato congiunto “le imprese e le pubbliche amministrazioni con singole unità locali con più di 100 dipendenti situate in un capoluogo di Regione, in una Città metropolitana, in un capoluogo di Provincia o in un Comune con popolazione superiore a 50.000 abitanti sono tenute ad adottare, entro il 31 dicembre di ogni anno, un piano degli spostamenti casa lavoro (PSCL) del proprio personale dipendente”.

ASSIV ritiene si tratti di un processo di efficientamento delle realtà pubbliche e private assolutamente condivisibile, che guarda ad una maggiore consapevolezza della necessità di porre la massima attenzione al tema del traffico e della sua sostenibilità ambientale, tenendo conto non solo del miglioramento delle caratteristiche tecniche e delle migliorie tecnologiche che possano portare un mezzo a consumare meno e/o a emettere meno inquinanti, ma che miri all’educazione nei comportamenti individuali, con la diffusione di sistemi quali il car pooling o gli spostamenti con mezzi di micromobilità in sharing.

Il percorso, è proprio il caso di dirlo, avviato dai Ministri in questione rappresenta un modello che può e deve essere adottato in una molteplicità di situazioni che richiamano le stesse considerazioni di contesto, laddove sia necessario incentivare un cambio di paradigma capace di avviare e sostenere processi di efficientamento dei servizi.

Un secondo campo di prova potrebbe essere quello del Security Manager.


Assiv, che rappresenta in Confindustria il comparto della Vigilanza Privata, sostiene da tempo e con buone ragioni la necessità di ricorrere a figure professionali specializzate nell’analisi di rischio, anche in ragione delle importanti responsabilità che gravano sul datore di lavoro in materia di safety e security del proprio personale.

Negli ultimi anni le realtà private più all’avanguardia, così come alcune amministrazioni pubbliche illuminate, hanno ritenuto necessario avvalersi di professionalità esterne all’azienda (processo seguito da molti privati) o internalizzate (processo seguito da alcune amministrazioni pubbliche), dotate di competenze tecniche specifiche per avviare processi di analisi e di assestamento del rischio aziendale.
La percezione che ognuno di noi ha del “tanto non capita a me” a livello individuale è purtroppo altrettanto diffusa, quando si parla di organizzazioni complesse: senza voler scomodare tragedie quali Chernobyl o Fukushima, una cattiva analisi del rischio può tuttavia essere esiziale per qualsiasi azienda, basti pensare ai problemi di natura assicurativa e di responsabilità civile e penale in caso di riconosciuta negligenza.

Favorire (e in molti contesti, rendere obbligatorio) un processo che coinvolga professionisti del rischio, capaci di effettuare un’analisi scientifica del rischio per tutti gli aspetti riguardanti i due ambiti, mutuati dal mondo anglosassone, attinenti alla safety e alla security, costituisce l’unica efficace misura di mitigazione degli stessi rischi.

Il Security Manager è infatti il professionista capace di definire i processi che, a valle dell’analisi di rischio, un’organizzazione deve adottare per prevenire i rischi propri dell’attività che svolge oppure quelli connessi al contesto in cui opera. “L’iniziativa economica privata è libera” dirà qualcuno. Il secondo comma dell’art. 41 della Costituzione sancisce tuttavia un principio altrettanto, se non più, stringente ed importante: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” E allora deve ribadirsi che una corretta analisi del rischio contribuisce in maniera determinante ad evitare problemi successivi che comportano conseguenze economiche, sociali, umane assai gravi. Una grande azienda o una municipalizzata che fallisce, significa tavoli di crisi ministeriali e necessità di reinserimento occupazionale, un reparto ospedaliero nel quale muore una persona apparentemente sana o un terzo significa chiusura del reparto e allarme sanitario. La cronaca ci racconta di accadimenti imprevedibili, fuori dalla portata di qualsiasi azione di mitigazione, ma nella gran parte dei casi un professionista dell’analisi del rischio avrebbe indirizzato l’azienda verso buone pratiche capaci di abbattere il rischio, salvaguardare l’incolumità di dipendenti e utenti, ridurre i costi di rimedio e quelli sostenuti dalla pubblica amministrazione, per le decine, centinaia di casi che avvengono quotidianamente. Non sarebbe questo un beneficio per il nostro sistema Paese e un miglioramento delle condizioni di vita civile, al pari dell’abbattimento delle emissioni da CO2?

a cura di Maria Cristina Urbano, Presidente ASSIV

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