Covid-19, nella nuova nota Inail l’impatto della pandemia su trend infortunistico e mercato del lavoro
Nell’istantanea scattata dal mensile curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, il punto della situazione sull’emergenza da nuovo Coronavirus e sulle sue ripercussioni senza precedenti a livello economico e sanitario
Dal ruolo svolto dall’Istituto nella gestione dell’emergenza alle diverse tipologie di maschere e mascherine per il contenimento dei contagi, il nuovo numero del periodico statistico Dati Inail è interamente dedicato alla pandemia da Covid-19 e alle sue ricadute su economia, mercato del lavoro e andamento infortunistico. Dalla fotografia scattata dalla Consulenza statistico attuariale emerge, in particolare, che il totale degli infortuni sul lavoro denunciati all’Inail tra l’inizio dell’anno e il 15 giugno, data dell’ultima rilevazione sui contagi da nuovo Coronavirus di origine professionale, ha presentato, rispetto allo stesso periodo del 2019, una flessione pari a circa il 25%.
L’effetto lockdown sulla riduzione delle denunce di infortunio. A influenzare il trend sono i cali registrati tra marzo e maggio, con una riduzione di circa 60mila infortuni denunciati rispetto allo stesso trimestre del 2019 (-35,4%), causata soprattutto della sospensione su tutto il territorio nazionale di ogni attività produttiva considerata non necessaria. Lo stop a molte attività in settori importanti per la nostra economia, infatti, ha determinato l’assenza di un elevato numero di lavoratori sul posto di lavoro e sulle strade, con conseguente diminuzione del rischio di infortunio. Al netto delle denunce di infezione sul lavoro da Covid-19, la riduzione degli infortuni tra gennaio e il 15 giugno sarebbe stata pari a circa il 40%, misura che ad oggi rappresenta una stima dell’effetto lockdown.
Nel primo trimestre il Pil in calo del 4,7%. Il blocco delle attività ha penalizzato in misura maggiore le micro (3-9 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese, che da sole hanno rappresentato più del 70% del totale delle chiusure, creando un’incertezza senza precedenti che ha avuto effetti immediati anche sulla produzione. Secondo i dati Istat di contabilità nazionale, infatti, nel primo trimestre dell’anno il Pil ha registrato una contrazione del 4,7%. Da una rilevazione condotta dall’Istituto di statistica, che ha interessato un campione di circa 90mila imprese appartenenti ai settori dell’industria, del commercio e dei servizi, che producono quasi il 90% del valore aggiunto nazionale, è emerso che nella fase di lockdown il 45% delle aziende ha interrotto la propria attività senza riprenderla prima del 4 maggio. Oltre il 70% delle imprese intervistate in questo studio ha dichiarato una riduzione del fatturato nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.
Al 15 giugno denunciati 49mila contagi e 236 decessi. Tra aprile e giugno l’Inail ha diffuso i primi cinque Report dedicati al fenomeno delle infezioni sul lavoro da Covid-19, con aggiornamento dei dati rispettivamente al 21 aprile, al 4 maggio, al 15 maggio, al 31 maggio e al 15 giugno. Al 21 aprile sono stati rilevati 28 mila contagi (di cui 98 con esito mortale), alla data del 4 maggio i contagi denunciati sono risultati essere 37mila (129), salendo poi a 43mila (171) alla rilevazione del 15 maggio, a 47mila (208) al 31 maggio e a 49mila (236) al 15 giugno. Oltre la metà (26.025 casi, pari al 53,1%) delle 49.021 denunce presentate all’Istituto, riguarda contagi sul lavoro avvenuti nel mese di marzo, il 36,8% (18.054) in aprile, il 7,6% (3.730) in maggio, lo 0,8% (410) nei primi 15 giorni di giugno e il restante 1,6% nel mese di febbraio. Per le denunce con esito mortale, dei 236 decessi registrati al 15 giugno, 89 (pari al 37,7%) sono riferibili a lavoratori deceduti a causa del contagio nel mese di marzo, 136 (57,6%) in aprile, 10 (4,2%) in maggio, mentre solo un caso ricade nei primi 15 giorni di giugno.
Tre casi su quattro riguardano gli operatori sanitari. Prendendo in considerazione le professioni svolte dai lavoratori contagiati, codificate secondo la classificazione Istat-CP2011, tre denunce su quattro hanno riguardato operatori sanitari: il 40,9% tecnici della salute (prevalentemente infermieri), il 21,3% operatori sociosanitari del “personale qualificato nei servizi sanitari e sociali”, il 10,7% medici (internisti, cardiologi e anestesisti-rianimatori più di altri) e quasi il 5% ausiliari ospedalieri, inservienti in case di riposo, barellieri del “personale non qualificato nei servizi di istruzione e sanitari”. A questi operatori sanitari si aggiunge la quota significativa di denunce (8,5%) degli operatori socio-assistenziali, operanti normalmente in strutture sanitarie e di assistenza. Tra le 236 denunce di contagio con esito mortale l’incidenza del personale sanitario e socio-assistenziale è pari invece al 40%. Come per gli infortuni in complesso, i più colpiti sono i tecnici della salute (per lo più infermieri), con il 12,8% dei casi codificati, e i medici, con il 9,9%, cui seguono gli operatori socio-sanitari (7,8%), gli operatori socio-assistenziali e gli specialisti nelle scienze della vita (tossicologi e farmacologi), con il 4,2% per entrambe le categorie, mentre il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliari, portantini, barellieri) pesa per il 3,5%.
Milano e Bergamo le province più colpite. A livello territoriale, le province più colpite risultano essere quelle di Milano, per gli infortuni in complesso, e di Bergamo, per i decessi. Con 5.316 denunce, infatti, la provincia di Milano ha registrato il 10,8% di tutte le denunce di contagio sul lavoro da Covid-19 presentate all’Inail al 15 giugno, mentre i 30 casi mortali della provincia di Bergamo corrispondono al 12,7% del totale dei decessi. La Lombardia, con quattro province tra le prime cinque per numero di infezioni di origine professionale – oltre a Milano, Brescia (2.719 casi), Bergamo (2.351) e Cremona (1.368) – conferma il suo primato negativo tra le regioni, con il 36% delle denunce complessive e il 43,2% dei casi mortali. Un terzo dei decessi, inoltre, riguarda le stesse quattro province. Quella di Bergamo, infatti, è seguita da Milano (22 casi), Brescia e Cremona (14 per entrambe).
I giovani più esposti alle conseguenze economiche del virus. Se dal punto di vista sanitario sono le fasce di età più elevate dei lavoratori a essere maggiormente vulnerabili al virus – l’età media dei contagiati è di 47 anni e sale a 59 per i decessi – i giovani sono più esposti alle conseguenze economiche della pandemia, partendo dall’interruzione dell’istruzione e della formazione, passando per la perdita dell’occupazione e del reddito, per arrivare alle maggiori difficoltà che potranno incontrare nel prossimo futuro per trovare un impiego. Nel momento in cui è iniziata la crisi, i giovani lavoratori impiegati a livello globale nei settori più colpiti erano 178 milioni, pari a oltre il 40% di quelli occupati nel mondo. Secondo un recente sondaggio globale sui lavori formali per i giovani dell’Organizzazione internazionale del lavoro, oltre un intervistato su sei ha smesso di lavorare dall’inizio della crisi e, tra quelli che sono rimasti in servizio, l’orario di lavoro è diminuito del 23%.
Fonte: INAIL