SENATO DELLA REPUBBLICA 1^ COMMISSIONE PERMANENTE AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL’INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, EDITORIA, DIGITALIZZAZIONE
Audizioni sui Disegni di Legge nn. 119, 902 e 1008 (Disposizioni in materia di Guardie Giurate)
Contributo di ASSIV, Associazione Italiana Vigilanza e Servizi Fiduciari
Chi siamo
ASSIV è l’Associazione di categoria delle imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari, rappresentativa del comparto in Confindustria per il tramite di ANIE, alla quale aderiscono le più importanti realtà del panorama nazionale.
ASSIV tutela gli interessi generali della categoria a livello politico ed istituzionale ed esprime rappresentanti nell’ambito dei tavoli di consultazione settoriale e in quelli per la trattativa del rinnovo dei CCNL di categoria. ASSIV promuove l’immagine del comparto della Vigilanza Privata a livello istituzionale nella sua duplice valenza di attività imprenditoriale del terziario avanzato nonché di sicurezza sussidiaria e complementare alle Forze dell’Ordine.
La presidente di ASSIV è Maria Cristina Urbano.
Il settore della vigilanza privata
La disciplina di questa attività di natura privatistica e commerciale, che va ad innestarsi in quella, tipicamente riservata allo Stato, di mantenimento dell’ordine pubblico e di prevenzione e repressione dei reati, trova la sua disciplina nel Testo Unico di Pubblica Sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) e nel suo Regolamento di esecuzione (R.D. 6 maggio 1940, n. 635) che, ancora, limitano il campo di attività alla tutela dei beni.
La vigilanza privata ha conosciuto, nell’ultimo quindicennio, un profondo cambiamento normativo: nel dicembre 2007 la prevedibile condanna della Corte di Giustizia Europea (Sentenza 13 dicembre 2007, n. C.463 -06), che ha giudicato contraria al Trattato la disciplina del settore, ha segnato il punto di avvio della riforma, caratterizzata dal contenimento della discrezionalità da parte dei Prefetti nel rilascio delle licenze necessarie per lo svolgimento dell’attività, eliminando al contempo gli stringenti limiti territoriali precedentemente imposti all’attività degli Istituti, e la
determinazione oggettiva di una serie di requisiti minimi di qualità, sia per quanto riguarda imprenditori e istituti, sia per quanto attiene alle guardie giurate, la mancanza dei quali non consente il rilascio, o il rinnovo, della licenza.
Dunque, la scelta del legislatore è stata quella di confermare il ruolo di complementarità della vigilanza privata rispetto la sicurezza pubblica, mantenendola incardinata nel sistema duale pubblico/privato, ed innalzando il livello dei requisiti richiesti, assistito da un puntuale meccanismo di controlli e verifiche, con l’evidente obiettivo di migliorare e qualificare il settore per renderlo più efficiente ed affidabile, in primis a garanzia dello stesso interesse pubblico. Questo obiettivo è stato fatto proprio dalla nostra Associazione fin dall’inizio, con un grande contributo di idee ed una eccezionale risposta degli imprenditori associati, già in fase di definizione del nuovo quadro normativo, e successivamente per l’adeguamento delle strutture ai requisiti di norma.
Altro importante fattore di crescita è stato l’evolversi della tecnologia, che ha profondamente modificato il tipo e le modalità di erogazione dei servizi, in termini di efficacia ed efficienza in favore dei clienti, e di sicurezza per gli operatori. Si pensi al numero di segnalazioni, di vario tipo, che possono essere convogliate presso centrali operative sempre più sofisticate (antiintrusione, antirapina, ma anche incendio, temperatura, accensione/spegnimento, parametri vitali), e poi, per la sicurezza: TVCC intelligenti, controllo di aree tramite droni e robot, geolocalizzazioni tramite GPS, coperture radio e telefoniche avanzate, rilevazione armi ed esplosivi, macchine robotizzate per il trattamento del denaro.
Inoltre, la riforma del settore ha definito lo status giuridico della Guardia Particolare Giurata, che è adesso incaricato di pubblico servizio.
I disegni di legge in esame
Il disegno di legge n. 119 della sen. Pirro presenta già all’art. 1 profili di criticità. Infatti, con tale articolo sono apportate modifiche all’art. 133 del TULPS, attribuendo alle GPG comandate presso Uffici Pubblici la qualifica di Pubblici Ufficiali. Tale previsione, che a prima vista appare opportuna, sconta il fatto che anzitutto il requisito troverebbe applicazione esclusivamente nell’ambito dell’art. 133, e cioè quando le GPG dipendono direttamente dall’ente (pubblico o privato) che le assume, con il rischio che si crei una differenziazione fra GPG che dipendono direttamente dagli Enti Pubblici e la stessa figura professionale, con gli stessi limiti e le stesse capacità, che dipende dagli Istituti di Vigilanza privata. L’altra fattispecie contemplata che le attribuirebbe la qualifica di pubblico ufficiale e agente ausiliario di pubblica sicurezza è, poi, quando alla GPG sia “richiesta da autorità di pubblica sicurezza per specifiche attività di accertamento e repressione dei reati
commessi sui beni affidati alla loro sorveglianza”. Orbene, questa disposizione ricalca quanto già contenuto nel TULPS all’art. 139, e per giurisprudenza costante in questi casi la GPG viene considerata pubblico ufficiale, per poi tornare velocemente incaricato di pubblico servizio una volta cessato il suo incarico temporaneo, di solito dettato da un’emergenza. ASSIV è fortemente contraria alla disposizione dell’art 1 perché creerebbe un poliziotto di “serie B”, con mansioni limitate rispetto ai veri pubblici ufficiali che, per antonomasia e definizione, possono usare la forza, cosa che, come noto, le guardie particolari giurate non possono fare, potendo solo difendersi e fare quanto possibile per interrompere il reato e le sue conseguenze, senza mettersi in pericolo o mettere terzi in pericolo, e comunque solo per tutelare i beni a loro affidati. Il discorso probabilmente non cambierebbe neppure se cadesse il tabù e si potesse parlare di close protection, che oggi la normativa riserva in via esclusiva alle sole Forze dell’Ordine. Meglio rimanere sempre in ambito di incaricato di pubblico servizio.
Il DDL Pirro prevede poi il requisito minimo di aver prestato servizio militare, altro aspetto su cui il nostro parere è negativo, perché di dubbia costituzionalità.
L’aspirante, inoltre, deve avere “tenuto una condotta idonea a dimostrare attitudine e affidabilità a esercitare i compiti di guardia particolare giurata”, i cui contorni sono indefiniti. Infine l’art. 3 introduce una sanzione per inadempienza a carico dell’Istituto di Vigilanza che invia operatori di sicurezza disarmata in luogo delle GPG. Riteniamo che una simile previsione sia oggettivamente eccessiva e ciò per un insieme di ragioni, a partire dalla mancata e pur indispensabile sanzione a carico della committenza, anche pubblica, che esige operatori di sicurezza disarmata per lo svolgimento di servizi che sono di esclusiva competenza delle GPG. Tale impostazione asimmetrica a svantaggio dell’operatore privato non garantisce la soluzione del problema (sempre connesso agli importi previsti dai bandi di gara e alla formulazione degli stessi) e rischia di favorire, al contrario, pratiche opache.
Peraltro la disposizione in parola muove da un presupposto errato e cioè che sia l’arma a determinare la funzione della guardia giurata. Al riguardo giova osservare che la guardia giurata è tale appunto perché presta giuramento e l’arma costituisce solo uno strumento di difesa personale, strettamente connesso alla pericolosità del servizio, tant’è che ci sono guardie giurate che svolgono mansioni delicate, di sicurezza sussidiaria, ma in ragione del contesto lo fanno in forma disarmata.
Il DDL n. 902 Balboni istituisce due albi presso il Ministero dell’Interno: uno per le GPG e uno per gli aspiranti. Ottima iniziativa, se non fosse che ad occuparsene dovrebbero essere le prefetture: i cronici ritardi che già affliggono le strutture prefettizie nell’assolvimento dei compiti loro assegnati dall’attuale quadro normativo, sulle cui cause non spetta a noi formulare ipotesi, si trasformerebbero in una sostanziale paralisi nella produzione di atti amministrativi se tali strutture dovessero occuparsi anche dei due Albi in parola. D’altronde l’Albo delle Gpg è già stato istituito
qualche anno fa, ma del progetto non se ne è più saputo nulla. Peraltro il disposto dell’art. 252 bis del Regolamento di Esecuzione prevede che possano accedere al Registro delle Prefetture solo gli uffici preposti alle attività di controllo e gli ufficiali e gli agenti di P.S..
Questo in una situazione nella quale per rinnovi e trasferimenti di gpg ci vogliono tra i 3 e i 9 mesi, dimostrazione tangibile che la tenuta dell’Albo di cui sopra non avviene più, se mai è avvenuta, o comunque non funziona come dovrebbe. Dunque si potrebbe cogliere l’occasione del riordino della normativa per modificare la disposizione del 252 bis consentendo l’accesso anche agli imprenditori per farne un valido strumento per l’incontro di domanda e offerta di lavoro.
Altro aspetto critico del DDL Balboni, previsto già nel DDL Pirro: la sanzione per chi utilizza gli operatori disarmati (fiduciari) al posto delle GPG. Si tratta di una disposizione le cui criticità abbiamo già evidenziato nell’ analisi precedente, tuttavia in questo caso non è chiaro chi debba essere sanzionato: è evidente che dal nostro punto di vista dovrebbe essere il cliente, non certo l’Istituto di Vigilanza Privata, o quanto meno ci dovrebbe essere una corresponsabilità dai contorni ben definiti. Ribadiamo: assegnare all’Istituto la responsabilità di come viene redatto il bando dalla stazione appaltante e l’indicazione tariffe poste a basa di gara appare un controsenso ed una palese ingiustizia. Basterebbe monitorare l’elevatissimo numero di gare ritirate dalle stazioni appaltanti a seguito di pronuncia del Giudice Amministrativo per rendersi conto che una simile disposizione non farebbe altro che bloccare completamente e definitivamente il settore.
Ultimo tema che ci preme portare all’attenzione, quello sul lavoro usurante. Si tratta di una disposizione molto costosa, ma non è questo il punto. Il punto è che anche questa previsione normativa andrebbe meglio circoscritta e chiarita, probabilmente a beneficio esclusivo di quei lavoratori notturni con anzianità nel tipo di lavoro. Ricordiamo, per altro, che un numero cospicuo di impieghi delle guardie giurate è caratterizzato da discontinuità.
Per quanto riguarda il DDL 1008 Spelgatti, ASSIV ritiene che ci siano molte più ombre che luci. La prima, il ripristino dell’impianto normativo del TULPS del 1931, portando tutti i servizi privati attinenti alla sicurezza (anche quelli disarmati di “portierato”) sotto l’egida del Ministero dell’Interno attraverso i Prefetti, ai quali verrebbero attribuiti nuovamente poteri discrezionali per il rilascio delle licenze. Superfluo evidenziare da un lato l’impraticabilità di una tale misura, per le difficoltà già evidenziate nell’operato delle prefetture, dall’altro perché assolutamente contraria al quadro normativo eurocomunitario. In particolare il DDL fa rivivere una situazione risalente ad un periodo ante riforma 2008 e per la quale l’Unione europea ci ha condannati. Come noto, infatti, la citata sentenza del 13 dicembre 2007 della Corte di Giustizia della Comunità Europea aveva stabilito che il limite provinciale doveva cessare di esistere come caratteristica indefettibile della licenza per adeguarsi alla libera articolazione dell’iniziativa economica privata. Tant’è che la facoltà prevista dal 136 del TULPS, di negare la licenza “in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti” non aveva trovato più applicazione in quanto contraria secondo il giudicato della Corte europea agli artt.43 e 49 del Trattato CE.
Allo stesso modo per quanto concerne il numero delle guardie giurate o di altri operatori abilitati, la nota sentenza unionale aveva disposto chiaramente che nessuna prescrizione o limitazione numerica poteva essere disposta in ordine al personale dipendente dagli istituti di vigilanza. Ciò dovuto evidentemente in ordine all’affermazione del diritto della libera determinazione dell’attività imprenditoriale, cui si conforma l’ordinamento italiano (cfr. art. 41 Cost).
Pertanto, anche questo punto della proposta di legge non potrà essere preso in considerazione in quanto “ostacolo” non giustificato alla libera impresa.
La seconda, l’affidamento agli operatori privati, con l’eventuale qualifica di pubblico ufficiale in caso di necessità, di servizi sussidiari come i piantonamenti degli uffici pubblici o il controllo del territorio, per impiegare i più costosi poliziotti e carabinieri nelle attività di pubblica sicurezza. Tutto questo in assenza di un’adeguata formazione, che deve essere affidata ai professionisti, non alle aziende. In proposito si osserva che una consolidata giurisprudenza ha stabilito che le guardie giurate operano in virtù di un rapporto negoziale privatistico e conseguentemente il loro sevizio non può essere inquadrato nello schema della pubblica funzione e quindi a loro non può essere attribuita la qualifica di pubblico ufficiale.
Peraltro, anche dalla lettura del testo in esame sembra escludersi che l’esercizio delle attività di sicurezza privata possano consentire l’esercizio di pubbliche funzioni o svolgere attività menomanti la libertà individuale in quanto le guardie giurate “sono tenute a prevenire” i delitti. Quindi l’approvazione della guardia giurata abilita il suo titolare ad agire solo al momento della prevenzione del fatto illecito e di conseguenza dall’esegesi delle norme non si può ritenere possibile riconoscere loro la qualifica di pubblico ufficiale o di agente di polizia giudiziaria.
La terza, la costituzione di una “Direzione della Sicurezza Privata” presso il Ministero dell’Interno con pari dignità delle altre, dotata di funzionari adeguatamente formati per governare e controllare le decine di migliaia di operatori privati (indicati in audizione) con gli strumenti idonei per digitalizzare documenti e procedure, con tutta una serie di problemi legati – solo per dirne alcuni – a spazi e fondi da mettere a disposizione di questa nuova DG e ai tempi notoriamente necessari a rendere operativa una nuova struttura ministeriale. Si consideri che vi sono aspetti dell’attuale quadro regolatorio che attendono piena applicazione da parte della P.A. da oramai quindici anni.
Per concludere
In conclusione, è nostra intenzione evidenziare che l’Italia nel 2007 è stata sanzionata dalla UE perché le norme che riguardavano il settore lasciavano ampi margini di discrezionalità a Prefetti e Questori, su di una attività che rimane commerciale e privata, riconoscendo nella normativa italiana allora vigente le cause di un sistema non equilibrato, ma asimmetrico, in cui il potere della PA era troppo pesante rispetto al principio (sicurezza pubblica) che si voleva tutelare. Il risultato di quella sentenza è stata l’approvazione di una nuova cornice normativa che, pur lasciando intatti i poteri autorizzatori e di controllo e sanzione in capo alla PA, ha creato un sistema di norme molto dettagliate ed “oggettive” che regolano nel dettaglio i requisiti obbligatori per gli imprenditori, i titolari di licenza, le organizzazioni (nelle loro varie forme giuridiche), le figure delle GPG, i servizi, la loro erogazione, la parte tecnologica (Centrali operative, sistemi di comunicazione), le cauzioni e le coperture assicurative. È stato messo in piedi un sistema che, lasciando intatte le prerogative di intervento della PA, garantisce, tramite ispezioni periodiche programmate eseguite da ispettori organizzati da Enti di certificazione approvati dal Ministero, al Ministero stesso e alle sue estensioni territoriali, il flusso di informazioni sulla permanenza o meno dei requisiti minimi obbligatori, e questo a totale carico degli IVP.
Insomma, piuttosto che smantellare quanto ha richiesto anni per essere rodato ed ingenti investimenti da parte degli stessi imprenditori per essere opportunamente implementato, si dovrebbe fare uno sforzo per potenziare il sistema, in primo luogo attraverso una riforma del TULPS che garantisca una cornice sistematica ed unitaria alle varie norme speciali che hanno profondamente modificato e qualificato il settore, quali i servizi presso gli aeroporti, i porti, le stazioni, le metropolitane, ed a bordo mezzi, l’antipirateria a bordo del naviglio mercantile, prendendo atto una volta per tutte che il perimetro della moderna vigilanza privata non può più essere limitato alla sola tutela del patrimonio, ma alla sicurezza tout court, in maniera complementare e sussidiaria alla attività delle forze dell’ordine, che continuerebbero ed anzi potenzierebbero il loro ruolo di coordinatori, in un’ottica di vera integrazione pubblico privato.
Il fatto che il Parlamento stia dimostrando attenzione alle problematiche del settore è pienamente apprezzato da questa Associazione, ma ASSIV ritiene che la strada indicata dai disegni di legge in questione non sia quella corretta per la loro soluzione. Rimaniamo, come sempre in passato e ancor più in questo frangente, pienamente disponibili ad avviare con gli Onorevoli Senatori un confronto ampio e articolato, che partendo da una approfondita analisi della situazione di fatto, voglia risolvere i problemi che denunciamo pubblicamente da anni in tutte le sedi istituzionali.
In tale ottica, concludiamo rappresentando il pieno apprezzamento all’Ufficio di Presidenza della Commissione per avere aperto un necessario ciclo di audizioni. Ma in proposito non possiamo non manifestare la nostra profonda perplessità rispetto i criteri sulla base dei quali sono stati individuati i soggetti da audire, escludendo le due associazioni datoriali più rappresentative del comparto, ovvero ASSIV, punto di riferimento in Confindustria, e la Lega delle Cooperative, nonché i sindacati maggiormente rappresentativi degli operatori della vigilanza armata e non armata, consentendo loro di intervenire nel dibattito solamente attraverso memorie scritte.
Restiamo profondamente convinti che solo con il confronto virtuoso tra istituzioni e organizzazioni di categoria rappresentanti del comparto possano essere formulate leggi che, perseguendo l’interesse comune, risultino utili alle aziende, ai lavoratori e alla Pubblica Amministrazione.
Roma, 22 luglio 2024
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