Contratti settore vigilanza tra revisione prezzi ed equilibrio contrattuale: istruzioni per l’uso

di Redazione – 2 Luglio 2024

Matteo Valente Studio AOR consulente ASSIV Contratti settore vigilanza

L’avvocato Matteo Valente, Socio dello Studio AOR Avvocaticonsulente ASSIV, presenta uno strutturato ed interessante approfondimento in merito ai contratti del settore della vigilanza privata, tra l’istituto della revisione prezzi e l’equilibrio contrattuale, delineando delle oculate “istruzioni per l’uso”.

Buona lettura!

I Contratti del settore vigilanza tra revisione prezzi ed equilibrio contrattuale: istruzioni per l’uso

Quello della vigilanza è uno dei settori che ha maggiormente risentito della congiuntura politico-economica caratterizzante gli ultimi anni. La crisi sanitaria legata al Covid, quella politica dovuta alla guerra in Ucraina e la crisi economica, che delle prime due è diretta conseguenza, ha messo alla prova l’intero mercato della sicurezza privata. Come se ciò non fosse abbastanza, nel 2023 abbiamo assistito al drastico aumento del costo della manodopera disceso dal rinnovo del Contratto Collettivo.

L’aggiornamento del costo del lavoro è un evento fisiologico dell’attività d’impresa; purtuttavia la rilevanza degli aumenti in termini economici e la contemporanea presenza di una generale crisi del settore, hanno reso questo momento particolarmente gravoso per gli operatori economici. Un così netto aumento delle retribuzioni, che rappresentano la voce di sicuro maggior peso nei servizi di vigilanza, ha rischiato di segnare un punto di non ritorno per l’intero mercato.

Nel settore pubblico, questo momento di crisi ha coinciso con l’entrata in vigore del “nuovo” Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36 del 2023) che ha rinnovato la disciplina delle procedure ad evidenza pubblica. In questi primi mesi di applicazione della nuova norma si è tentato di analizzarla, al fine di individuare se vi fossero rimedi concreti al vertiginoso aumento del costo del lavoro.

La ricerca non è stata del tutto vana. Il legislatore ha avuto il pregio di calarsi concretamente nel “presente”, affrontando la materia consapevole delle peculiarità della situazione attuale e lo ha fatto con indubbio piglio “pratico”. Questo ha fatto sì che la nuova disciplina prevede in più punti un’attenzione particolare alla tenuta complessiva del contratto, alle condizioni dei lavoratori impiegati nella commessa pubblica, alle soluzioni giuridiche tese a mitigare gli effetti nefasti dovuti alle oscillazioni dei prezzi.

Come il nuovo Codice ha inteso intervenire sul complesso tema dell’aumento dei prezzi e del costo della manodopera nei contratti pubblici?

Di sicuro rilevante è la reintroduzione dell’istituto della revisione prezzi che, da sempre presente nel nostro ordinamento, non era stata prevista come obbligatoria (abbastanza inspiegabilmente) dal Codice dei contratti del 2016. La revisione prezzi consente all’operatore economico di poter vedere aggiornati i prezzi del servizio durante l’esecuzione. L’art. 60 del “nuovo” Codice è chiaro anche nel prevedere che gli aumenti dei CCNL di categoria (dopo l’adozione delle nuove Tabelle Ministeriali) siano tra gli indici che devono essere utilizzati per il calcolo della revisione prezzi. Si tratta, ovviamente, di una misura che lenisce gli effetti dell’aumento del costo del lavoro in corso di esecuzione.

Tuttavia la disciplina della revisione prezzi trova applicazione esclusivamente per quei contratti di appalto disciplinati dal “nuovo” Codice dei contratti pubblici, ovverosia contratti discendenti da bandi di gara pubblicati successivamente al 1° luglio 2023. Tale profilo rende la “revisione prezzi” uno strumento che attualmente non può fornire una risposta concreta e diretta alle preoccupazioni delle imprese, che si sono trovate a gestire il vertiginoso aumento del costo della manodopera proprio in questi ultimi mesi. Infatti, i contratti pubblici sottoscritti sotto la vigenza del “nuovo” Codice sono assai recenti e, nella stragrande maggioranza dei casi, gli stessi sono stati conclusi allorquando già era stato rinnovato il Contratto di categoria, con la conseguenza che l’offerta dell’impresa appaltatrice molto probabilmente già aveva previsto i relativi aumenti di costo. Detto in altre parole: la revisione prezzi non può rispondere all’esigenza maggiore degli operatori economici che attualmente è quella di far fronte all’aumento del costo della manodopera sopraggiunto in corso di esecuzione. Si tratta quindi di un aumento che interessa i contratti di appalto sottoscritti anteriormente al luglio del 2023. A questi ultimi contratti si applicherà la previgente normativa che, come è noto, non prevedeva l’obbligatorietà della revisione dei prezzi. La conseguenza è che in questi casi assai spesso l’appaltatore non può beneficiare dello strumento contrattuale finalizzato all’aggiornamento dei prezzi.

Ed allora cosa fare?

Da alcuni commentatori è stata proposta al riguardo una tesi che vorrebbe intravvedere, in una “nuovissima” disposizione del D.Lgs. n. 36 del 2023, un possibile strumento per tutelare le imprese a fronte dell’aumento dei costi della manodopera.

Si tratta del principio del riequilibrio economico previsto dall’art. 11 del “nuovo” Codice. Detto principio prevede che, laddove l’equilibrio economico del contratto risulti alterato in corso di esecuzione l’esecuzione, le parti (vale a dire: la stazione appaltante e l’operatore economico) hanno il dovere di rinegoziare secondo buona fede le condizioni contrattuali. Si tratta di un’indubbia novità del “nuovo” Codice che consente di porre rimedio alle situazioni imprevedibili ed eccezionali che sono in grado di scardinare la sostenibilità economica dell’appalto. La tesi promossa in queste ultime settimane è quella di ritenere che il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale potrebbe avere portata “retroattiva” e dunque applicarsi anche a quei contratti sottoscritti in vigenza della precedente normativa. In questo modo si potrebbe risolvere il nodo relativo all’assenza di tutele per quei contratti disciplinati dal D.Lgs. n. 50 del 2016 e per cui non era prevista la revisione dei prezzi.

L’interpretazione fornita prende spunto dal fatto che l’art. 11 del “nuovo” Codice dei contratti pubblici è inserito nel Titolo I, recante i “Principi Generali”. Attribuendo dunque una portata generale a detti principi ci si potrebbe spingere sino a ritenerli applicabili anche retroattivamente.

La ricostruzione, seppur suggestiva, ad avviso di chi scrive, non è sostenibile e ciò per le seguenti ragioni.

Perché la ricostruzione non è sostenibile?

Quanto alla retroattività, occorre rilevare che recentemente il Consiglio di Stato ha ritenuto applicabile anche retroattivamente il “principio di risultato” sancito dall’art. 1 del D.Lgs. n. 36 del 2023. La tesi del massimo giudice amministrativo è quella di ritenere che il “principio di risultato sia immanente nel nostro ordinamento, essendo derivato sia dalla Costituzione che dai principi cardine del diritto amministrativo. Orbene, estendendo questa tesi propugnata dal Consiglio di Stato anche agli altri “principi generali” – nei quali rientra per l’appunto anche quello espresso dall’art. 11 – si potrebbe fornire applicazione retroattiva anche al principio del riequilibrio economico.

Tuttavia non può non rilevarsi la netta differenza che sussiste tra i primi quattro principi generali del codice e gli altri (vale a dire quelli previsti dagli articoli che vanno dall’art. 5 all’art. 12). Invero, i primi 3 articoli del “nuovo” Codice contengono i principi “interpretativi” dell’intera materia. Detto in altri termini: il principio del risultato (art. 1), quello della fiducia (art. 2) e quello dell’accesso al mercato (art. 3) costituiscono i capisaldi dell’intera disciplina dei contratti pubblici. Ed a confermarlo vi è – oltre il posizionamento iniziale che il legislatore ha voluto fornire – il chiaro tenore dell’art. 4 che espressamente afferma come “Le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3”.

L’art. 4 si pone dunque a “chiusura” di un primo nucleo di articoli che per la loro portata “interpretativa” possono effettivamente essere ritenuti immanenti nel nostro ordinamento e dunque possono guidare l’interpretazione anche di casi concreti a cui cronologicamente il nuovo Codice non può applicarsi.

Le novità degli ulteriori principi generali

Diversa è la natura degli ulteriori principi generali (esplicitati nei successivi articoli) i quali, pur esprimendo “regole” di portata assai ampia, costituiscono delle vere e proprie “novità”. Si pensi ad esempio all’art. 6 che regola i rapporti tra Amministrazioni pubbliche e Enti del terzo settore oppure all’art. 11 che prevede l’obbligo per la stazione appaltante di individuare “a monte” il Contratto collettivo nazionale da applicare nell’appalto che sta affidando.

Si tratta di prescrizioni che per quanto “generali” introducono una regolamentazione della materia che possiamo definire “innovativa”. In questo quadro si inserisce alla perfezione l’art. 9 che, disciplinando per la prima volta il principio del riequilibrio economico, costituisce un elemento di profonda discontinuità con il passato.

Per questa ragione, appare arduo poter estendere retroattivamente il suddetto principio a contratti disciplinati dal previgente Codice dei contratti pubblici.

Altro profilo da cui si ricava questa impossibilità all’applicazione retroattiva del principio del riequilibrio è costituito, a parere di chi scrive, dalla disposizione posta in chiusura dell’art. 9 (al comma 5), ove il legislatore si è premurato di individuare quali siano i rimedi pratici per poter mettere in pratica il principio stesso. Orbene, la norma prevede che “In applicazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale si applicano le disposizioni di cui agli articoli 60 e 120”. Quindi il Codice prevede che il principio trovi concreta applicazione attraverso gli articoli 60 e 120 e questi ultimi disciplinano: uno l’istituto della revisione prezzi di cui abbiamo già detto (art. 60), e l’altro le modifiche contrattuali in corso di esecuzione (art. 120).

Non v’è dubbio dunque che questa ultima disposizione faccia comprendere come il principio di conservazione dell’equilibrio economico necessiti di strumenti pratici che è lo stesso Codice a prevedere. Detto in altri termini, la nuova norma dapprima detta il principio generale (art. 9), per poi fornire i metodi di concreta applicazione dello stesso (artt. 60 e 120). Si tratta dunque di una struttura “complessa” che trova la propria autosufficienza all’interno (e solo all’interno) del “nuovo” Codice.

Ma se così è, allora ecco dimostrata la prova dell’impossibilità di applicare retroattivamente il principio in parola.

Ma non tutto è perduto!

Una simile analisi non deve tuttavia demoralizzare dal poter comunque ottenere dalla stazione appaltante tutela per il vertiginoso aumento del costo della manodopera.

I contratti in corso di esecuzione che non sono disciplinati dal “nuovo” Codice, soggiacciono alla disciplina della previgente normativa (e dunque del D.Lgs. n. 50 del 2016), la quale prevedeva all’art. 106 i rimedi da adottare in corso di esecuzione del contratto, laddove si verifichino situazioni imprevedibili.

Una prima analisi da compiere è che l’art. 106 del “vecchio” Codice prevede un contenuto pressoché identico a quello dell’art. 120 del “nuovo” Codice. Quindi, proprio la disposizione che (insieme alla revisione prezzi) è la concreta applicazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale è sostanzialmente presente anche nella precedente normativa ed è dunque applicabile ai contratti da questa disciplinati.

In secondo luogo, occorre rilevare come l’art. 106 fornisca ben due strumenti che in linea generale possono fungere allo scopo di “aggiornare” il valore del contratto alla luce dei vertiginosi aumenti dei costi della manodopera.

Un primo strumento è la variante giustificata da “circostanze impreviste e imprevedibili”. Sul punto occorre essere molto chiari: per parte della giurisprudenza amministrativa (come rammentato sopra) il rinnovo dei Contratti collettivi di categoria è un evento fisiologico che non ha natura imprevedibile. Tuttavia, nel settore della vigilanza quanto si è verificato negli ultimi mesi con ben due successivi e ravvicinatissimi aumenti delle retribuzioni, potrebbe essere individuato quale evento imprevedibile. Laddove così fosse, si potrebbe quindi applicare l’istituto della variante in corso d’opera, con la determinazione di un aumento del prezzo dovuto alle oggettive rimodulazioni in aumento dei costi del personale.

Un secondo strumento è previsto sempre dall’art. 106 del “vecchio” Codice ed è quello che consente modifiche al valore del contratto in ogni caso (e senza particolari motivazioni e/o giustificazioni) se il valore delle modifiche stesse non supera le soglie comunitarie ed è comunque al di sotto del 10% del valore del contratto di appalto. Ciò si traduce nella possibilità pratica di ottenere dalla stazione appaltante un aumento del prezzo dell’appalto nei limiti di € 750.000,00 (valore della soglia comunitaria in materia di servizi di vigilanza) e del 10% del valore del contratto. Ovviamente anche questa soluzione deve necessariamente transitare da una previa interlocuzione con la stazione appaltante, che deve essere d’accordo nel riconoscere un simile aumento. Anche se in molti casi il valore di detta rimodulazione non è idoneo a “coprire” l’effettivo aumento del costo della manodopera, è tuttavia un meccanismo su cui può valere la pena aprire un’interlocuzione con l’Amministrazione.

Conclusioni

In conclusione possiamo affermare che il “nuovo” Codice dei contratti pubblici prevede istituti e accorgimenti che di sicuro intervengono per mitigare gli effetti di incontrollati e imprevedibili aumenti dei costi in corso di esecuzione, tuttavia queste soluzioni soggiacciono all’obiettivo limite della loro irretroattività. La conseguenza è che gli effetti negativi prodotti sugli appalti disciplinati dalla previgente normativa dall’aumento dei costi della manodopera dovuti al rinnovo del CCNL di categoria  potranno essere depotenziati esclusivamente attraverso gli strumenti che il “vecchio” Codice dei contratti pubblici precedeva; il tutto in ossequio al principio del tempus regit actumÈ vero però che anche la previgente normativa contiene istituti che possono condurre ad una parziale o totale neutralizzazione degli aumenti dei costi. Si tratta, come visto, di meccanismi che possono essere adottati di concerto con la stazione appaltante e attraverso una puntuale e accorta interlocuzione con i soggetti dell’Amministrazione preposti alla gestione del contratto. Non ogni speranza è perduta.

A cura di Matteo Valente

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