Indagine Confindustria sul lavoro 2023
L’annuale indagine Confindustria sul lavoro, svolta tra febbraio e aprile 2023, fornisce informazioni per il 2022 e inizio 2023 su struttura dell’occupazione e politiche aziendali di gestione del lavoro nelle aziende associate. In questa pagina sono disponibili le tavole riassuntive e comparative relative alle principali variabili oggetto di indagine.
Particolare attenzione quest’anno è dedicata, da un lato, al tema delle competenze di difficile reperimento da parte delle imprese e delle azioni intraprese per farvi fronte e, dall’altro, alle modalità di gestione dei processi di ricambio generazionale della forza aziendale. L’indagine, inoltre, riprende il tema del lavoro agile, continuando a monitorarne la diffusione ma anche chiedendo alle imprese quali siano concretamente i vantaggi e le problematiche riscontrate nell’utilizzo di questa modalità di lavoro.
Tra le imprese che hanno partecipato all’indagine il 58,0% dichiara di riscontrare difficoltà di reperimento nel corso della ricerca di personale da assumere. Tali difficoltà sono presenti soprattutto per competenze e mansioni specifiche (complessivamente segnalate dal 45,8% delle imprese che hanno risposto) e per mansioni manuali e tecniche (nel 42,9% dei casi a livello nazionale e nel 51,0% dei casi se si considera solo l’industria). In un terzo dei casi le difficoltà vengono riscontrate non con riferimento a uno specifico ambito, ma in modo diffuso e trasversale (33,2%). Tra le azioni intraprese in risposta al fabbisogno di competenze, le imprese prevedono principalmente attività di formazione rivolte al personale attualmente in forza (nel 61,1% dei casi). Oltre un quarto del totale delle imprese (27,9%, percentuale che sale al 30,2% tra quelle industriali) si dichiara, inoltre, coinvolto in programmi educativi sul territorio (ITS Academy, PCTO, tirocini curriculari, ecc.).
Tra quelle intervistate, il 23,1% delle imprese sta gestendo un processo di ricambio generazionale della forza lavoro, con una percentuale più alta della media nell’industria (24,5%) e nelle grandi imprese (35,3%). Tra le modalità di gestione degli ingressi più utilizzate, il 53,2% delle imprese sceglie (o ha scelto) l’apprendistato e il 41,7% delle imprese il contratto a termine. Tra le modalità di accompagnamento all’uscita dei lavoratori più anziani, quelle più diffuse sono l’incentivazione all’esodo (28,4%) e il sistema delle “quote” (quota 100, 102 o 103; 19,7%).
Con riferimento al lavoro agile, i risultati indicano che più del 43% delle imprese che hanno partecipato all’indagine ha utilizzato questa modalità di lavoro nel 2022. In particolare, questa quota si scompone in un 21,1% di imprese che ha continuato a utilizzare solo il lavoro agile “di emergenza” (ovvero la “versione semplificata” prevista a partire dal 2020 con la pandemia) mentre il restante 22,1% ha introdotto il lavoro agile in via “strutturale” (secondo quanto disposto dalla legge 81/2017).
Se si considera l’intensità di utilizzo, misurata in termini di lavoratori in smart working sul totale dei dipendenti (non dirigenti) nelle imprese che lo hanno impiegato, il lavoro agile ha coinvolto mediamente il 35,9% dei dipendenti. In quelle che hanno applicato esclusivamente la disciplina emergenziale, la quota di lavoratori coinvolti si ferma al 22,2% dei dipendenti, mentre nelle imprese che hanno anche disciplinato il lavoro agile in via strutturale l’intensità di utilizzo ha raggiunto il 41,5% dei dipendenti nel 2022.
Oltre tre quarti delle imprese che hanno partecipato all’indagine (76,1%) ha rilevato almeno un vantaggio derivante dall’utilizzo del lavoro agile. In particolare, il 44,7% delle imprese rispondenti ha rilevato una migliore attrazione o retention delle risorse umane strategiche, il 42,1% una riduzione dell’assenteismo, quasi il 40% un aumento della produttività dei dipendenti attraverso maggiore responsabilizzazione e orientamento al risultato. Una quota minore di imprese segnala tra i vantaggi il miglioramento dell’efficienza energetica e della sostenibilità dell’azienda (29,7%) e la riduzione dei costi aziendali legati alla gestione degli spazi (24,1%).
D’altro canto, il 30% circa delle imprese ha indicato di aver riscontrato almeno una problematica dovuta all’utilizzo del lavoro agile, in particolare in termini di ostacolo alla comunicazione tra il personale (59,1% delle imprese rispondenti) e minor senso di appartenenza da parte di chi usufruisce di tale modalità di lavoro (33,7%).
Con un 2022 reso particolarmente complicato dalla fiammata inflazionistica, l’indagine ha rilevato nei primi mesi del 2023 le ricadute della crisi energetica sulla forza lavoro impiegata in azienda. Nel complesso, l’82,1% delle imprese ha indicato di non registrare (al momento della risposta o in prospettiva) alcuna ricaduta rilevante sulla forza lavoro. Tra quelle che, invece, hanno segnalato una qualche ricaduta, oltre la metà ha indicato la revisione degli orari di lavoro e/o la riprogrammazione dei turni a fini di efficientamento energetico (51,1% in media; 49,9% nell’industria e 52,6% nei servizi) e quasi un terzo (il 30,4%) ha indicato una diminuzione temporanea delle ore lavorate, per esempio tramite ricorso alla CIG, in particolare nell’industria (43,7%, mentre nei servizi questa quota è al 13,0%).
Anche in questa edizione dell’indagine sono state, inoltre, raccolte informazioni relative all’applicazione di contratti collettivi aziendali e le materie regolate da questi accordi.
A inizio 2023 quasi un terzo delle imprese associate (il 31,3%) applica un contratto aziendale, cioè firmato con RSU/RSA o rappresentanze territoriali. La diffusione è maggiore nell’industria in senso stretto (dove il contratto aziendale è presente nel 33,4% delle imprese) rispetto ai servizi (28,4%) e nelle imprese più grandi, con oltre 100 dipendenti (66,5%), rispetto a quelle più piccole, con meno di 15 (21,8%).
La diffusione della contrattazione aziendale mostra percentuali più elevate se calcolata sulla base degli addetti: risultano occupati presso aziende che la applicano il 61,3% dei dipendenti nel campione complessivo – media tra il 67,5% registrato nell’industria in senso stretto e il 51,5% registrato nei servizi.
Le materie regolate dal contratto aziendale, quando presente, sono principalmente i premi di risultato collettivi (nel 76,8% dei contratti), l’orario di lavoro (53,0%), la conversione dei premi di risultato in welfare (41,3%), l’offerta di servizi di welfare aggiuntivi (39,3%), la conciliazione vita-lavoro (37,1%).
1. L’occupazione nelle imprese del Sistema Confindustria nel 2022
L’occupazione è aumentata, trainata da quella femminile Nel corso del 2022 l’occupazione dipendente complessiva nelle imprese associate a Confindustria è aumentata del 2,6%, sintesi di un incremento del 3,0% nelle imprese dei servizi e del 2,3% nel settore dell’industria. L’aumento coinvolge le imprese di ogni classe dimensionale – seppur in misura diversa – da quelle con meno di 15 dipendenti (+1,3%), a quelle con 16-99 dipendenti (+2,8%), a quelle con più di 100 dipendenti (+2,6%).
Nelle imprese associate, nel corso del 2022, l’occupazione della componente maschile risulta aumentata dell’2,4%, mentre è cresciuta più sensibilmente l’occupazione femminile (+3,4; Figura A).
Rispetto alla tipologia contrattuale, nel corso dello scorso anno si registra una crescita sia degli occupati dipendenti a tempo indeterminato (+2,5%) che di quelli a tempo determinato (+3,3%). Rispetto al totale, l’occupazione a tempo indeterminato rimane la tipologia contrattuale più diffusa nelle imprese associate (il 92,3% del totale dei dipendenti è impiegato con tali contratti), mentre gli occupati a tempo determinato rappresentano il 5,5% del totale. Tra il 2021 e il 2022 risultano in aumento anche gli apprendisti (+1,0%); il dato medio, tuttavia, nasconde un andamento differenziato tra settori, con un aumento nelle imprese dell’industria (+10,4%) e una contrazione in quelle dei servizi (-13,7%).
Le ricadute della crisi energetica sulla forza lavoro Il 2022 è stato un anno caratterizzato dal repentino aumento dei prezzi, in particolare delle materie prime energetiche. Nel complesso, tuttavia, a inizio 2023 l’82,1% delle imprese ha indicato di non registrare (al momento della risposta o in prospettiva) alcuna ricaduta rilevante della fiammata inflazionistica sulla forza lavoro impiegata. Se si considerano solo quelle che, invece, hanno registrato una qualche ricaduta, oltre la metà ha indicato la revisione degli orari di lavoro e/o la riprogrammazione dei turni a fini di efficientamento energetico (51,1%; 49,9% nell’industria e 52,6% nei servizi) e quasi un terzo (il 30,4%) ha indicato una diminuzione temporanea delle ore lavorate, per esempio tramite ricorso alla CIG, in particolare nell’industria (43,7%, mentre nei servizi questa quota è al 13,0%; Figura B).
Turnover del lavoro più alto nei servizi Come nelle precedenti edizioni, anche quest’anno l’indagine misura il turnover in entrata e in uscita. Innanzitutto, le imprese con turnover nullo (ovvero le imprese che, sulla base dei dati indicati nel questionario, non hanno registrato né entrate né uscite di personale) sono state il 23,0% del campione. Il tasso di turnover complessivo (la somma di lavoratori assunti e cessati nel corso dell’anno sul totale dell’occupazione a fine 2020) è risultato pari al 37,7% nella media del campione analizzato. Il turnover è decisamente più alto nelle imprese dei servizi (53,1%) rispetto all’industria (27,9%) e incide soprattutto nelle imprese piccole (63,7% nelle imprese con meno di 15 addetti, mentre è al 39,2% e al 34,3% rispettivamente in quelle medie e grandi). Il turnover in entrata è pari al 20,1%, mentre quello in uscita è pari al 17,6%.
2. Le assenze dal lavoro nel 2022
Tasso di assenteismo più alto in imprese più grandi Nel corso del 2022 le ore lavorabili pro-capite, al netto delle ore di Cassa Integrazione Guadagni, sono state mediamente pari a 1.7011. Di queste, 126,5 non sono state lavorate a causa delle assenze dal lavoro (retribuite e non). Il tasso di assenteismo (calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili) si è dunque attestato al 7,4%.
L’incidenza delle assenze, come calcolata sulla base dei dati dell’indagine Confindustria sul lavoro, è risultata più alta nei servizi (8,0%) che nell’industria in senso stretto (7,1%).
Il tasso di assenteismo si è confermato crescente all’aumentare della dimensione aziendale: 8,1% in quelle con 100 e più addetti, 5,1% in quelle fino ai 15 (Figura C).
Causali di assenza diverse per genere La malattia non professionale si è confermata la causa più frequente di assenza (4,5% delle ore lavorabili), seguita dagli altri permessi retribuiti (pari all’1,1%), che includono i permessi sindacali e quelli per visite mediche o accompagnamento parentale, e dai congedi retribuiti (anch’essi all’1,1%). L’incidenza delle assenze è risultata pari al 6,7% tra gli uomini e al 9,1% tra le donne. I congedi parentali spiegano la quasi totalità della differenza, essendo pari al 2,5% delle ore lavorabili per le donne e allo 0,5% per gli uomini, a causa degli oneri di accudimento familiare, visto che quelli a carico del genere femminile sono di gran lunga maggiori. Da rilevare, ad ogni modo, che il tasso di assenze dovute a congedi parentali risulta in calo rispetto a quanto rilevato per il 2019, in particolare per le impiegate (per queste ultime, dal 3,5% al 2,7%), presumibilmente anche in conseguenza dell’utilizzo del lavoro agile come strumento di conciliazione vita-lavoro.
3. Le politiche aziendali, il lavoro agile e il capitale umano
Quasi un’impresa associata su tre fa contrattazione aziendale Tra le imprese che hanno partecipato all’ultima indagine, quasi un terzo (il 31,3%) ha dichiarato di applicare un contratto aziendale, cioè firmato con RSU/RSA o rappresentanze territoriali. Gli accordi sono molto più diffusi nelle grandi imprese (66,5% tra quelle con almeno 100 dipendenti) rispetto alle piccole (21,8% se i dipendenti sono al massimo 15). Di conseguenza, la percentuale di lavoratori coperti da un contratto aziendale nel campione complessivo è più alta rispetto alla quota di imprese (61,3%).
Tra le materie regolate nei contratti aziendali, in primis, i premi di risultato collettivi: oltre i tre quarti dei contratti aziendali nelle imprese associate lo prevedono (76,8%), e la quota sale a 85,2% tra le imprese con almeno 100 dipendenti (89,0% se operanti nell’industria al netto costruzioni).
Molto diffuse nella contrattazione aziendale anche la regolazione dell’orario di lavoro (53,0%), la possibilità di conversione del premio di risultato in welfare (41,3%), l’offerta di servizi di welfare aggiuntivi (39,3%) e la conciliazione vita-lavoro (37,1%).
Focus sul lavoro agile Anche l’indagine di quest’anno ha rilevato il grado di utilizzo del lavoro agile (o smart working) da parte delle imprese associate, distinguendo tra le quelle che nel corso del 2022 hanno fatto esclusivamente ricorso al regime semplificato (cosiddetto “emergenziale”, introdotto nel 2020 con la pandemia) e quelle che lo hanno anche disciplinato in via “strutturale” (secondo le disposizioni della legge istitutiva del 2017).
Alle imprese che hanno utilizzato il lavoro agile, è stato inoltre chiesto se e quali vantaggi e/o problematiche abbiano riscontrato in relazione a questa tipologia di svolgimento del lavoro.
Lavoro agile ancora molto diffuso I risultati indicano che il lavoro agile è presente nel 43,2% delle imprese nel complesso. Questa modalità di lavoro è diffusa in oltre la metà delle imprese dei servizi, anche per la natura stessa dell’attività (50,8%, contro il 37,4% nell’industria in senso stretto). In particolare, il tasso di diffusione medio nazionale è dato dalla somma del 21,1% delle imprese che nel 2022 hanno utilizzato il lavoro agile esclusivamente in regime semplificato “emergenziale” e del 22,1% delle imprese che lo hanno anche disciplinato in via “strutturale” (Figura D).
Quanti lavoratori coinvolti? Stando alle risposte delle imprese, oltre un terzo dei dipendenti non dirigenti hanno lavorato anche in smart working (35,9%), media tra il dato rilevato per i lavoratori dell’industria (35,3%) e quello – leggermente superiore – rilevato per i lavoratori dei servizi (36,7%). L’incidenza percentuale dei lavoratori da remoto è sistematicamente più alta nelle imprese che hanno disciplinato questa modalità di svolgimento del lavoro anche in via strutturale (dove in media ha coinvolto il 41,5% dei dipendenti non dirigenti; 41,8% nell’industria, 41,1% nei servizi) rispetto a quelle che hanno fatto esclusivo ricorso al lavoro agile “emergenziale” (22,2% in totale; 19,7% nell’industria, 26,0% nei servizi; Figura E).
Vantaggi e problematiche rilevati dalle imprese Quando interrogate sui vantaggi rilevati rispetto all’utilizzo del lavoro agile, oltre i tre quarti delle imprese ne indica almeno uno (76,1%). Tra queste, quando chiamate ad indicare i concreti vantaggi rilevati, il 44,7% indica una migliore attrazione o retention delle risorse umane strategiche, il 42,1% una riduzione dell’assenteismo, quasi il 40% un aumento della produttività dei dipendenti attraverso maggiore responsabilizzazione e orientamento al risultato. Una quota minore di imprese segnala tra i vantaggi il miglioramento dell’efficienza energetica e della sostenibilità dell’azienda (29,7%) e la riduzione dei costi aziendali legati alla gestione degli spazi (24,1%).
Quando interrogate, invece, sulle problematiche connesse al lavoro da remoto, il 30% circa delle imprese ne ha indicata almeno una. Tra queste, la maggioranza delle aziende risulta preoccupata di possibili ostacoli alla comunicazione tra il personale (59,1% delle imprese che segnalano problematiche di qualche tipo). Più bassa la quota di imprese in cui destano preoccupazione problematiche legate al minor senso di appartenenza da parte di chi usufruisce di tale modalità di lavoro (33,7%), alla ridotta interazione del personale con ripercussioni negative sull’innovazione (22,9%) e alle possibili situazioni di conflitto tra dipendenti eligibili e non eligibili (22,6%).
Difficoltà di reperimento delle competenze necessarie per oltre la metà delle imprese Alle imprese è stato chiesto se abbiano riscontrato significative difficoltà di reperimento di personale nelle politiche di assunzione. A fronte di un 24,7% di imprese che non aveva in corso ricerche di personale al momento della compilazione del questionario, un 58,0% riporta di aver riscontrato difficoltà, quota che sale al 62,1% tra le imprese industriali e al 73,1% tra quelle con almeno 100 dipendenti (Figura F).
Tra quel 58% di imprese che riporta difficoltà di reperimento del personale, una su tre le registra in maniera diffusa e trasversale (33,2%). Il 42,9% riporta difficoltà per mansioni manuali e tecniche, come quelle di operai e turnisti (quest’ultimo dato sale al 51,0% nell’industria). A fronte di quote relativamente contenute di imprese che segnalano difficoltà nel reperire risorse umane con competenze funzionali alla transizione digitale (4,9%, che sale a 10,3% tra quelle industriali), a una maggiore internazionalizzazione (1,8%) e alla transizione green (1,1%), vi è un 45,8% delle rispondenti che indica difficoltà nel reperire altre competenze e mansioni specifiche (Figura G).
Oltre i due terzi delle imprese che segnalano difficoltà di reperimento (67,2%) intraprende azioni per farvi fronte, concentrandosi soprattutto sulla formazione del personale attualmente in forza (61,1%), ricorrendo a servizi esterni come consulenze e collaborazioni (39,3%) e allargando il bacino di ricerca (36,8%). Da sottolineare, infine, che più di un quarto del totale delle imprese (27,9%) è coinvolto in programmi educativi sul territorio (ITS Academy, PCTO, tirocini curriculari, ecc.), percentuale che sale al 30,2% tra quelle industriali.
Diversi gli strumenti impiegati per il ricambio generazionale Tra le imprese intervistate, il 23,1% riporta di stare gestendo un processo di ricambio generazionale della forza lavoro, con una percentuale più alta della media nell’industria (24,5%) e nelle grandi imprese (35,3%). Tra le modalità di gestione degli ingressi più utilizzate, il 53,2% delle imprese sceglie (o ha scelto) l’apprendistato e il 41,7% delle imprese il contratto a termine. Tra le modalità di accompagnamento all’uscita dei lavoratori più anziani, le modalità più diffuse sono l’incentivazione all’esodo (28,4%), e il sistema delle “quote” (quota 100, 102 o 103; 19,7%).
Appendice: Le caratteristiche dell’Indagine annuale Confindustria sul lavoro
Edizione 2023
Questa nota esamina i risultati dell’Indagine Confindustria sul Lavoro del 2023 che, come in precedenti edizioni, è andata sul campo nei primi mesi dell’anno. La somministrazione dei questionari da parte delle Associazioni del Sistema Confindustria alle proprie aziende associate ha avuto inizio il 20 febbraio 2022, con un termine inizialmente fissato per il 5 aprile, poi prorogato al 21 aprile.
Il campione di quest’anno è costituito da 3.458 aziende. Complessivamente a inizio 2023 le imprese che compongono il campione occupavano 813.307 lavoratori dipendenti a livello nazionale.
Come in precedenti edizioni, il questionario di quest’anno include domande relative agli orari e alle assenze dal lavoro, alla struttura e alla dinamica della manodopera occupata con diverse tipologie contrattuali e alle politiche aziendali, con particolare riferimento alla contrattazione aziendale, alle competenze di difficile reperimento e al capitale umano.
Nel questionario è stato confermato anche l’approfondimento relativo allo stato e ai giudizi delle imprese sull’utilizzo del lavoro agile.
Nella presentazione dei risultati dell’indagine, le imprese del campione sono classificate per comparto sulla base del CCNL applicato (Tabella A1) e per dimensione aziendale sulla base del numero di occupati alle dipendenze a dicembre 2022. Dettagli sulla composizione del campione per comparto e numero di addetti sono riportati nella Tabella A2.
In questa nota (come in quelle elaborate a commento di edizioni passate dell’Indagine Confindustria sul lavoro) i risultati medi a livello nazionale sono ponderati sulla base della distribuzione (per 11 comparti e 3 classi dimensionali) degli occupati nel totale delle imprese associate a Confindustria.
Gli orari e le assenze dal lavoro: definizioni e metodologia di calcolo
I giorni lavorabili sono calcolati sottraendo ai 365 giorni dell’anno:
i sabati e le domeniche (105 giorni) e le festività infrasettimanali nel 2022 (9 giorni);
il dato aziendale dei giorni di ferie, quelli di P.A.R. (ex festività e riduzione orario di lavoro) e quelli di permesso per banca ore e conto ore.
Le ore lavorabili annue sono calcolate:
moltiplicando i giorni lavorabili per l’orario settimanale normale del personale a tempo pieno al netto delle pause retribuite, diviso per cinque;
sottraendo le ore pro-capite di Cassa Integrazione Guadagni effettuate dal personale.
Il tasso di assenteismo è calcolato come il rapporto percentuale tra le ore di assenza e le ore lavorabili, ed è disponibile per sesso, qualifica e tipologia di assenza.
I risultati si basano sulle risposte fornite dalle 3.312 aziende del campione che hanno compilato la sezione del questionario relativa agli orari e alle assenze dal lavoro.
Giovanna Labartino, Francesca Mazzolari e Giovanni Morleo
Fonte: Confindustria