Fondazione Consulenti del Lavoro: Salute e sicurezza sul lavoro nella pandemia
Nuovi rischi e prospettive di evoluzione dei modelli di gestione
La pandemia ha avuto un impatto rilevante su quasi ogni dimensione del mondo del lavoro, ma quella che ne è stata maggiormente stravolta è stata la salute e sicurezza.
L’esplodere di un evento dal potenziale dirompente in termini di rischi per la salute dei lavoratori e di tutta la popolazione ha portato, nel giro di pochi giorni a scelte drastiche prima – la chiusura di molte attività – e misure stringenti poi che, in ottemperanza dei protocolli sulla sicurezza, hanno visto un vasto adeguamento da parte delle aziende.
Queste sono state impegnate, sia da un punto di vista organizzativo che economico, non solo nel garantire le misure minime di prevenzione (dalle sanificazioni, alla distribuzione delle mascherine, ben il 98% delle imprese italiane vi ha provveduto), ma anche nel fornire adeguata informazione ai dipendenti (94,7%), erogare specifica formazione (90,4%), far ruotare il personale o programmare accessi e uscite scaglionati (70%), mettere a disposizione dei collaboratori test di diversa natura
(52%) ed esonerare i lavoratori più fragili o con specifiche problematiche di assistenza dall’obbligo della presenza (46,2%).
Misure che hanno interessato trasversalmente il mondo delle imprese, dalle grandi fino alle piccole che, pur tra mille difficoltà, hanno comunque adeguato i propri modelli organizzativi e gestionali agli standard imposti dalla pandemia: standard in molti casi onerosi, sia da un punto di vista organizzativo che economico.
Gli sforzi sono stati ripagati dai risultati, con un contenimento degli infortuni da Covid in ambito di lavoro e dei casi di mortalità: al 31 marzo 2021 l’Inail contabilizzava 165 mila denunce di infortunio da Covid, concentrate per lo più nel settore sanitario (67,5%), di cui 551 con esito mortale. Un dato elevato, considerato l’impatto complessivo degli infortuni da Covid sul totale di quelli denunciati (i contagi causati dal virus Sars-Cov-2 hanno costituito nel 2020 il 23,6% delle denunce e il 33,3% di quelle mortali), ma relativamente contenuto se confrontato agli effetti, in termini di contagi e mortalità, prodotti dall’epidemia.
Al tempo stesso, il ricorso diffuso al lavoro agile quale strumento principale di prevenzione alla diffusione dei contagi nel luogo di lavoro, oltre a contenere il rischio, ha avuto il positivo effetto di produrre un significativo crollo degli infortuni in itinere, quelli che avvengono nello spostamento tra l’abitazione e il luogo di lavoro.
Tra 2019 e 2020, le denunce sono passate da più di 100 mila a circa 62 mila, registrando un decremento del 38,3% e portando l’incidenza dei casi in itinere sul totale dal 15,7% all’11,2%. In termini di mortalità, l’impatto è stato ancora più evidente: a fronte di una riduzione del 30,1% dei casi, l’incidenza sul totale delle morti nel tragitto casa-lavoro su quelle totali è passata dal 28,1% del 2019 al 16,8% del 2020.
Tale dinamica segna una discontinuità importante rispetto alle tendenze degli ultimi anni che, a fronte di una stabilità degli infortuni sul luogo di lavoro, avevano visto crescere progressivamente il numero di quelli in itinere, in particolare tra le donne. Nel 2019 tale modalità contribuiva al 22,4% dei casi di infortunio e al 51,1% di quelli mortali per questo segmento, ma nel 2020 i valori si sono ridimensionati arrivando rispettivamente al 12,9% e 26,1%, anche e soprattutto per effetto del
ricorso al lavoro agile.
Proprio lo sviluppo di questo nuovo modello organizzativo, se da un lato ha positivi effetti con riferimento all’incidentalità e mortalità sul lavoro, dall’altro pone nuove sfide in termini di salute e sicurezza. La dislocazione dell’attività lavorativa dall’azienda alla casa prevede infatti, al di là delle responsabilità datoriali, una responsabilizzazione crescente del lavoratore, a cui è chiesto di collaborare per organizzare al meglio la propria postazione di lavoro domestico, al fine di garantire adeguata sicurezza e prevenire l’accadimento di infortuni o l’insorgere di malattie.
In questo contesto, si ampliano i margini di rischio potenzialmente legati alla sicurezza di un ambiente di lavoro che può variare nel tempo (il 27% dei lavoratori agili ha lavorato da un luogo diverso dalla propria abitazione, anche per periodi prolungati), che non è detto rispetti le normative minime di sicurezza impiantistica (elettrica, antincendio) o che presenti ambienti e postazioni di lavoro adeguati e attrezzate secondo criteri ergonomici: secondo l’indagine svolta dai consulenti del
lavoro ad aprile su un campione di occupati, ben il 48,3% degli smart workers presenta disturbi e problemi fisici legati all’inadeguatezza delle postazioni domestiche.
A tali aspetti si aggiunge il rischio di aumento dello stress prodotto dalla dilatazione dei tempi di lavoro, dall’ansia da prestazione, dall’indebolimento delle relazioni aziendali e dalla paura di marginalizzazione, già individuati da quasi la metà dei lavoratori agili quali elementi di disagio del lavoro da remoto.
Sono primi elementi di un’esperienza ancora in corso di assestamento e valutazione, ma il cui impatto sulla dimensione della salute e della sicurezza potrebbe essere dirompente, sia in termini di contenimento del fenomeno infortunistico che di innovazione delle logiche di prevenzione e sicurezza, che devono essere rese più funzionali ai nuovi modelli organizzativi.
Anche in questo passaggio, la salute e la sicurezza sul lavoro sono destinate a ricevere un’attenzione crescente, da parte di imprese, lavoratori, loro rappresentanze e istituzioni. L’emergenza, oltre a rendere tangibile e reale “il rischio”, ha portato tale dimensione al centro delle strategie e dell’organizzazione aziendale, aprendo la strada a un’inattesa coincidenza di interessi tra le parti: di tutela della salute da un lato, e salvaguardia dell’attività di impresa dall’altro.
Quello che è andato maturando nel corso dell’anno è un approccio diverso al tema della salute, che si è tradotta in un’accelerazione del dialogo sociale, della contrattazione, centrale e di prossimità, innescando anche a livello aziendale un’intensa attività di negoziazione, improntata ad una logica di intervento in materia meno procedurale e più sostanziale, meno “verticale” e più partecipata.
Un processo che, sebbene condiviso, non è stato privo di elementi di conflittualità, ma da cui c’è da sperare possa prendere forma un modello sempre più integrato tra salute e lavoro, che porti tale dimensione da elemento procedurale a sostanziale, facendo delle realtà aziendali un perno di quel sistema di salute di territorio che oggi occorre ricostruire. Magari partendo dalla campagna di vaccinazione, primo test di un modello nuovo, che la pandemia potrebbe lasciare in eredità.